La destra italiana, mutevole nelle forme ma coerente nei nefasti comportamenti, perde il pelo ma non il vizio. Come nel 2005, e poi ancora nel 2009, allora a capo del governo c’era Silvio Berlusconi, anche oggi la Commissione Europea ha aperto la procedura di infrazione per deficit eccessivo nei confronti di un governo italiano di destra. Un provvedimento abbastanza grave.
Non conforta il fatto che con noi tra le grandi economie europee ci sia la malandata Francia. E nemmeno che questa decisione fosse stata anticipata, e anzi data per scontata, addirittura dal nostro ministro dell’Economia già dopo il Def di aprile 2024. Possiamo dire quindi che Meloni si è comportata esattamente come Berlusconi nel dilapidare le casse dello Stato. Allora, nel 2009, il debito era pari al 134% del Pil e ammontava a 2.381 miliardi, mentre ora è pari a 2.906, sempre al 137% del Pil, e viaggia tranquillamente nelle stime ministeriali verso i 3.000 miliardi nel 2026. Le Meloni potrà appuntarsi nel petto la medaglia sovranista di essere riuscita a creare il debito pubblico italiano più alto di sempre, più brava anche del maestro Berlusconi.
Il ministro Giorgetti per giustificare il mancato rispetto della normativa europea, pur recentemente cambiata, ha sempre puntato il dito sui due bonus fiscali, il bonus facciate e il bonus 110%. Non si può negare che il pesante sfondamento attuale sia dovuto anche a queste due misure, soprattutto a quello delle facciate, il bonus voluto tenacemente dal Dem Franceschini per abbellire le città (!). Si tratta però di un effetto temporaneo, in quanto il debito è stato solo anticipato creando uno scalino anomalo. Ma questa è solo metà, e forse anche meno, della storia. Ci sono altri fattori di ordine politico che hanno spinto il debito all’insù e che il ministro finge colpevolmente di non vedere. Altrimenti non si spiegherebbe come mai in due anni di melonieconomics il debito sia cresciuto di 150 miliardi secondo i dati di Bankitalia. Non può essere colpa solo degli interventi edilizi.
Contrariamente a ciò che uno può pensare, il debito è stato spinto principalmente dalle mancate entrate, e non dalle spese che sono state invece contenute. Per guardare solo al 2024 la manovra di finanza pubblica ha ridotto le entrate per una ventina di miliardi, creando deficit aggiuntivo che il governo ha puntualmente ottenuto dal Parlamento. I tre interventi più rilevanti sono stati la riduzione dell’Irpef, sotto i 50.000 euro di reddito, per circa 4 miliardi. Poi è stata riconfermata la fiscalizzazione degli oneri sociali, altri 9 miliardi. Infine l’estensione della flat tax è costata all’erario circa 2-3 miliardi. Si tratta di interventi di politica fiscale a debito, che quindi non andavano fatti se il governo avesse perseguito la strada del risanamento finanziario, come più volte proclamato Giorgetti.
Chi ha aiutato il governo a non fare peggio? Intanto l’inflazione che sta gonfiando le casse dello Stato. Poi è intervenuta la drastica politica sociale della Meloni che in primo luogo ha tagliato le pensioni sopra i 2.000 euro, non proprio un lusso per chi ha lavorato una vita. Ma soprattutto ha stanziato la miseria di 5 miliardi per rinnovare i contratti pubblici nel triennio 2021-24. Un rinnovo che prevede, secondo i dati dell’Aran, un aumento del 6%, contro un’inflazione del periodo superiore al 15%. Un danno enorme per i pubblici dipendenti. Un datore di lavoro serio avrebbe messo una cifra ben più ampia, come suggerito anche dell’Ufficio parlamentare di bilancio.
Quindi non solo la gestione Giorgetti-Meloni ha creato debito aggiuntivo ma ha aumentato l’ingiustizia del sistema, distribuendo soldi che non ci sono e non riconoscendo diritti acquisiti anche da tempo. Il fisco della destra si muove oramai per corporazioni, cercando di massimizzare il consenso elettorale perché i principi di legalità e di giustizia sociale non sono nel suo Dna.
Ma è una destra che oltre ad essere arrogante è anche codarda. Giorgetti si comporta come chi esce dal ristorante dopo aver cenato senza pagare il conto. Il ministro infatti ha deciso di rinviare le necessarie misure di finanza pubblica a dopo la bocciatura europea, che è puntualmente arrivata. Il governo spera in questo modo di scaricare tutte le responsabilità della sua mala gestione sul censore europeo che dovrà inevitabilmente indicare dove intervenire. Allora cadranno le illusioni fiscali generate copiosamente dalla destra. Se la riduzione dell’Irpef sognata dal ministro Leo non si potrà realizzare, sarà colpa dell’Europa. E se la fiscalizzazione degli oneri non potrà essere riconfermata, ancora la responsabilità sarà dell’arbitro e non del giocatore che ha fatto un fallo da espulsione. E così via, nel tentativo di nascondere un becero populismo sotto il tappeto di una qualche austerità europea, nuovo muro del pianto per la destra nostrana.
Chi però ne esce veramente malconcio, a mio avviso, è il ministro Giorgetti. Un ministro dell’Economia, oggi del debito pubblico, deve avere una di queste due caratteristiche fondamentali per onorare il suo difficile ruolo imponendo, se serve, le drastiche misure necessarie. O essere un autentico leader politico, come a suo tempo è stato nel campo leghista Maroni. Oppure un super tecnico come il ministro Franco, la cui preparazione non poteva essere messa in dubbio. Giorgetti, pur brava persona, non è né l’uno e né l’altro. Non ha la stoffa del leader politico, muovendosi sempre all’ombra di Salvini, e nemmeno la caratura di tecnico internazionale. È una specie di don Abbondio che deve continuamente sottostare ai desiderata dei signorotti della politica locale che vogliono nei fatti più debito, ingolfati nelle loro promesse elettorali sempre meno realizzabili. Le sue, a questo punto doverose, dimissioni sarebbero un atto di coraggio, oltre che di serietà, per chi ha fallito maldestramente il suo compito di ridurre il debito pubblico. Magari non per suo demerito, ma semplicemente per debolezza di carattere o adulatoria ambizione personale.
In politica però non ci si può nascondere dietro la frase di Don Abbondio di fronte al Cardinale Borromeo: “Il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare”.