Cinema

Inside Out 2, come il primo film è un piccolo grande capolavoro Pixar

di Davide Turrini
Inside Out 2, come il primo film è un piccolo grande capolavoro Pixar

Al cinema, si sa, coinvolgere le nostre emozioni più basilari di spettatori è l’arma fine di mondo. Non si scampa. E ad Inside Out del 2019, infatti, non era scampato nessuno. Piccolo, (grande?), capolavoro Pixar, settore Pete Docter. Diciamolo subito: in Inside Out 2, sempre Docter&co., in uscita nelle sale italiane dal 19 giugno, non si scampa lo stesso. Se la forma sequel non è mai cinematograficamente indispensabile, la voglia seriale, di fronte all’idea progressiva ed aggiornata delle emozioni che regolano umore e comportamento di una bimba che negli anni cresce, è inevitabile.

Va scritto senza che tremino le dita sulla tastiera: la riuscita di Inside Out 2 è tutta nella scorrevole e giocosa elementarietà con cui il team di scrittura e animazione Pixar inventa, organizza, colora il passaggio anagrafico e psicologico vissuto da ognuno di noi dentro al tunnel dell’adolescenza. Una robina da nulla che poi ci portiamo per il resto della vita. Un colpo basso perfetto, efficace, talmente universale da superare le orecchie di Dumbo e gli occhioni di Bambi, a fronte persino di una realizzazione grafica non proprio epocale (lo spazio rutilante e gommoso delle emozioni batte 10 a 0 i testoni di Riley e amiche).

Riley Andersen è cresciuta e ha 13 anni. In consolle, proprio davanti ai tasti colorati del quartier generale di Inside Out, lampeggia un inatteso aggiornamento: l’allarme “pubertà”. La bimbetta inizia il percorso verso la maturità e non bastano più Gioia, Tristezza, Paura, Rabbia e Disgusto per rispondere agli input esterni della vita. È ora di “emozioni più complesse”. Soprattutto se si tratta di tradire le amiche del cuore e seguire come un cagnolino la più ganza dell’hockey, tal Valentina Ortiz, al campo estivo dove si selezionerà la squadra ufficiale della scuola.

Ecco che davanti ai tasti che regolano umori e comportamenti di Riley irrompono Noia, Imbarazzo, Invidia e Ansia. Quest’ultima, ca va sans dire, è un vero ciclone di iniziativa e protagonismo. Tanto da scalzare la cara vecchia Gioia che aveva sopravanzato i colleghi nel primo capitolo della saga e orientato il comportamento di Riley. L’allontanamento materiale vede le cinque emozioni primarie rinchiuse in un bussolotto dalle quattro secondarie e spedite nel Caveau dei segreti (“siamo emozioni represse”). Le cinque animelle colorate riusciranno rocambolescamente a fuggire, tornare al quartier generale per frenare lo strapotere di Ansia e rendere Riley finalmente una ragazzina equilibrata. Imperniato come nel primo film sul doppio, parallelo piano narrativo delle vicende reali di Riley e delle emozioni che lambiccano leve e tasti nel celebre quartier generale, Inside Out 2 diventa persino meglio del suo antesignano proprio perché la complessità delle emozioni rappresentate richiede una leggerezza, un’ironia, un dosaggio equilibrato nel tessuto della trama piuttosto differenti e sofisticate rispetto alla matrice originale.

Puntellato da contrappunti comici esilaranti (le apparizioni della vecchietta Nostalgia che viene invitata ad uscire di campo – “è troppo presto per entrare in scena” – o quella degli eroi dei cartoni animati e dei videogame amati dalla protagonista e rinchiusi anch’essi nel caveau dei segreti) Inside Out 2 è un perfetto esempio su come in Pixar con questo franchise siano riusciti a trasformare le idee e i sentimenti dell’umano in immagini animate. Guardate quando Ansia (in italiano doppiata con ludica ed esasperante puntualità da Pilar Fogliati) perde il controllo di sé davanti alla consolle e crea un vortice di fili arancioni intrecciati e ingarbugliati, in perenne movimento, impossibili da tagliare e smorzare. Qualcosa di incontrollabile e di negativo rispetto alla classica visione del bene in casa Disney. Ora tocca al responso della sala. Negli Stati Uniti sta volando. In Italia potrebbe risollevare una situazione incassi alquanto disastrosa.

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