“L’idea di distruggere Hamas equivale semplicemente a gettare sabbia negli occhi dell’opinione pubblica”. Parola di Daniel Hagari, brigadiere generale e portavoce delle Israel Defense Forces. Dopo lo scontro del 16 giugno tra l’esercito e Benjamin Netanyahu sulla tregua umanitaria annunciata di 11 ore dall’Idf nella Striscia di Gaza ma mai entrata in vigore, Hagari – volto noto della Spokesperson’s Unit dell’esercito di Tel Aviv – mina alle fondamenta la dottrina politica e militare seguita dal premier per rispondere al partito armato al potere nell’enclave paestinese dopo gli attacchi del 7 ottobre.

In un’intervista a Channel 13 News, alcuni stralci della quale sono stati riportata dal quotidiano liberal Haaretz sul proprio sito web, il portavoce dell’esercito ha spiegato: “Hamas è un’idea, Hamas è un partito politico. È radicato nei cuori delle persone: chiunque pensi che possiamo eliminare Hamas si sbaglia“, ha argomentato Hagari, che ogni sera entra via televisione nelle case degli israeliani per raccontare loro l’andamento della guerra. “Ciò che si può fare è sviluppare qualcos’altro per sostituirlo. Qualcosa che faccia capire alla popolazione che qualcun altro sta distribuendo il cibo, qualcun altro si sta occupando dei servizi pubblici… per indebolire davvero Hamas, questa è la strada”, ha aggiunto il generale, che da un recente sondaggio è stato indicato come la personalità più popolare in questo momento in Israele, a discapito di Netanyahu.

La cui dottrina Hagari ha smentito anche sul delicatissimo tema del rilascio degli ostaggi: sarà “impossibile” restituire tutti gli israeliani sequestrati e trattenuti a Gaza attraverso operazioni militari, strategia dal governo seguita fin dall’inizio dell’operazione nella Striscia. “Dobbiamo raggiungere uno scenario in cui gli ostaggi vengano restituiti in un altro modo“, ha spiegato il portavoce dell’Idf.

Un colpo durissimo a quanto Netanyahu va dicendo dall’inizio del conflitto e ha ripetuto anche dopo la proposta per un cessate il fuoco con Hamas avanzata dagli Stati Uniti. “Le condizioni di Israele per porre fine alla guerra non sono cambiate – ha ribadito il premier ancora il 1° giugno -: la distruzione delle capacità militari e di governo di Hamas, la liberazione di tutti gli ostaggi e la garanzia che Gaza non rappresenti più una minaccia per Israele”.

Poco dopo le parole di Hagari è arrivata la risposta di Netanyahu. Senza far esplicito riferimento a quanto detto dal portavoce militare, il premier ha ribadito che – come stabilito dal Gabinetto politico e di sicurezza – “uno degli obiettivi della guerra è la distruzione delle capacità militari e governative di Hamas. L’Idf è ovviamente impegnato in questo”.

Lo scontro tra Netanyahu e l’esercito è iniziato il 16 giugno, giorno in cui l’Idf aveva annunciato “una pausa tattica” quotidiana di 11 ore nel sud della Striscia per agevolare la consegna degli aiuti umanitari. Immediata era arrivata la reazione rabbiosa del governo. Del piano, secondo il sito Ynet, non avrebbe saputo nulla il ministro israeliano della Difesa, Yoav Gallant, e l’esercito aveva risposto che l’esecutivo era stato informato. L’ufficio del primo ministro Benjamin Netanyahu ha fatto sapere che “quando il primo ministro ha sentito domenica mattina la notizia di una pausa umanitaria nei combattimenti per 11 ore al giorno, ha detto al suo segretario militare che ciò era inaccettabile”. Lo riporta Haaretz aggiungendo che dopo il chiarimento “il primo ministro è stato informato che non vi è alcun cambiamento nella politica dell’Idf (l’esercito israeliano, ndr) e che i combattimenti a Rafah continueranno come previsto”. Durissimo anche il ministro delle Finanze, Bezalel Smotrich, esponente dell’ultradestra e tra i più fieri critici del governo, che aveva parlato di “annuncio delirante“.

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