di Pietro Francesco Maria De Sarlo
Dei 400 membri della Camera dei deputati 163 sono di opposizione (Iv, Avs, Azione, M5S, Pd e gruppo Misto) e 237 di maggioranza. La votazione finale sulla Autonomia Differenziata ha visto 172 voti a favore e 99 contrari, per un totale di 271 votanti su 400. Mancano all’appello 129 deputati, pari al 32%. Per la maggioranza gli assenti sono stati il 28% e per le opposizioni il 35%.
Appare evidente che anche se fossero stati presenti tutti i deputati dell’opposizione questa legge sarebbe comunque passata, ma su una riforma così dirimente per il futuro del Paese sarebbe stato opportuno che tutti i deputati si fossero assunti le proprie responsabilità di fronte alla Storia. I 129 deputati assenti (65 della maggioranza e 64 della opposizione), a meno di gravi motivi che ne giustifichino l’assenza, avranno comunque torto e saranno iscritti al partito degli ignavi o dei vili. Entrambi nel terzo canto della Divina Commedia furono condannati, come in vita, a inseguire una insegna mutevole e tormentati da insetti e vermi.
Occorrerebbe pubblicare i nomi di tutti i deputati con il loro voto o degli assenti e scolpirli su una lastra di marmo a futura memoria, io sul mio blog lo farò appena pubblicati sui resoconti della Camera.
Che questa sia una riforma spacca Italia lo dimostra iconicamente l’arretramento del ministro Calderoli di fronte al deputato Donno, colpevole di volergli mettere la bandiera italiana sulle spalle. La stessa che il suo sodale Bossi bruciava per le vie della Padania e che su di lui ha lo stesso effetto che ha l’aglio sui vampiri.
Ma questa legge è solo l’ultimo atto di un percorso di sottovalutazione, soprattutto culturale, della visione che si ha della questione meridionale. È anche il primo passo di un percorso che, se non vedrà correttivi robusti in modo da vanificare la legge stessa, porterà alla disgregazione dello Stato unitario, anche questa agognata dalla Lega Nord.
Quello che si creerà è una Italia a diritti variabili, che dipenderanno dal luogo di residenza: un cittadino del Sud che si trasferisce al Nord li acquisterebbe tutti in un colpo solo, uno che dal Nord si trasferisce al Sud li perderebbe immediatamente. Parlo di welfare, infrastrutture, istruzione, servizi di mobilità…
La completa assenza di una vera classe dirigente nazionale e la narrazione di comodo di un divario Nord-Sud in continua crescita da attribuirsi esclusivamente a fattori antropologici ha costituito i presupposti culturali di questa riforma. Senza considerare la diseconomia per tutto il Paese di abbandonare un territorio di elevato potenziale economico, vista la sua posizione geografica al centro del Mediterraneo, punto di incrocio di tre continenti. L’idea che il Paese possa prosperare continuando a ragionare solo sugli interessi del Nord porterà l’Italia intera alla irrilevanza economica e politica, anche perché, visti i tassi di natalità, il Nord non potrà più contare sul Sud per la sua tenuta demografica.
Ed è proprio la sinistra, che oggi protesta contro questa riforma dopo averla incubata, che ha la maggiore responsabilità per non averla contrastata sul piano culturale. Questo sia per la visione di una gestione assembleare e partecipata della vita pubblica e della politica travasata nelle istituzioni, sia per fatti storici: il Pci è sempre stato più attento alle ragioni della classe operaia e quindi della industria del Nord, che a quella della Vandea bianca del Veneto e del Sud, lasciati alla rappresentanza della Dc e del doroteismo. Poi di recente, per motivi di bottega, ha pensato di contrastare il sogno secessionista della Padania inseguendo la Lega Nord sul suo terreno.
Non è facile ipotizzare le conseguenze di questa riforma per cui, unico caso al mondo, i diritti delle persone varieranno in funzione della residenza, ma il combinato disposto delle spinte contrapposte della Autonomia e del Premierato creano i presupposti di un Paese che potrà tenersi unito solo con uno stato di polizia.