“Un critico letterario importante mi ha rivelato che c’è un pregiudizio nei miei confronti. Là dove seggono quelli che contano, i miei romanzi non vengono nemmeno letti”. Così la scrittrice Lidia Ravera, 73 anni, in un post sul suo profilo Facebook. Non vuole fare “la figura di quella che si sente incompresa” ma si interroga – sulla scorta di oltre trenta libri pubblicati nell’arco di quasi mezzo secolo – perché “potendo valutare un percorso tanto lungo e argomentato” molti addetti ai lavori persistano a snobbarla. Un j’accuse liberatorio, probabilmente propiziato da un traguardo raggiunto, ribadito nel suo Age Pride, uscito per Einaudi lo scorso anno: “La vecchiaia è libertà.”
Porci con le ali, suo esordio boom del 1976 (che Bompiani ripubblica a luglio nei tascabili), resta una maledizione da scontare?
Penso che una volta applicata un’etichetta, per pigrizia mentale o per comodo, non la si toglie più. Io sono e resterò per sempre “quella di Porci con le ali”. Un brand come un altro. Ma io non ho cercato di “rifare il botto”. Ho usato la scrittura come strumento di indagine. Ho raccontato, scritto, lavorato, cercato… come tutte le scrittrici e gli scrittori degni di questa bizzarra professione che è, prima di tutto, una vocazione.
Ha ricevuto solidarietà da colleghe e colleghi?
Non da colleghe e colleghi ma da lettrici e lettori. 1500 like, 300 commenti, decine di condivisioni. E svariati messaggi affettuosi, intelligenti, colti. Mi sono sentita circondata da una comunità di affini che non immaginavo, che non avevo saputo vedere. È stato bello.
Crede che i suoi romanzi, centrati per lo più su protagoniste femminili, siano ignorati da un milieu intellettuale di fatto ancora maschilista?
Il mio ultimo romanzo, Un giorno tutto questo sarà tuo, in libreria per Bompiani, è raccontato dal punto di vista di un ragazzo di 15 anni. Protagonista suo padre, uno scrittore di successo (ah ah ah). Le seduzioni dell’inverno, il mio unico titolo finalista allo Strega, ha come protagonista un uomo. Nessuno al suo posto ha come protagonista un quattordicenne, La festa è finita ha al centro due uomini…Io non scrivo solo di donne, io sono una donna che scrive, guardo il mondo con l’altro sguardo, ma guardo il mondo, e lo guardo tutto. Il fatto che siano due gli sguardi, uno maschile e uno femminile, diversi ma di uguale valore, è questo che non è stato ancora digerito.
Nessun MeToo nell’editoria nostrana. Non ci sono forse predatori sessuali o ricattatori in un ambiente ancora patriarcale e “amichettista”?
Nel mio ultimo romanzo, Un giorno tutto questo sarà tuo, affronto proprio un caso di MeToo nel mondo della cultura. Protagonisti un uomo innocente ma colpevole e una ragazza colpevole… ma innocente.
Ci sono altre autrici che come lei non sono lette con attenzione o sottovalutate?
Adesso che il femminismo è diventato un brand, qualcosa che si scrive sulle magliette, è difficile distinguere. Si può essere lusingate e sottovalutate in una sola frase, nello stesso tempo.
I lettori continuano ad amarla. Perché è importante essere “guardati” dalla critica che conta?
Sì, like, commenti, condivisioni, per il mio momento di sincerità. E continuano. Se è sufficiente? Certo che lo è. Non ho bisogno di essere legittimata dalla critica. Ma un po’ di attenzione, dopo tanti anni e tanto lavoro, me la aspetto e penso di averne diritto. Fatta eccezione per Paolo Di Paolo e Filippo La Porta, mi pare che quasi nessuno sia andato mai oltre Porci con le ali.
L’editoria italiana è trainata da scrittrici e lettrici ma sono sempre gli uomini a occupare posizioni apicali o a governare il dibattito critico.
Le posizioni apicali possiamo anche conquistarle, vedi Giorgia Meloni, ma la domanda è: A che cosa siamo disposte a rinunciare della nostra magnifica diversità? Il femminismo dell’uguaglianza sta producendo un sacco di “uome.”
Le donne continuano a subire discriminazioni. Vedi la messa in discussione di diritti come l’aborto, il congedo parentale, il gender gap salariale…
Le donne sono il secondo sesso, l’universale continua a essere maschile. Per quanti asterischi tu applichi al linguaggio, purtroppo siamo ancora lì. Siamo quelle nate dalla costola di un uomo che si stava annoiando.
Al Premio Strega tre donne finaliste su sei. Vera parità o gender washing?
I premi sono gli scatti di carriera di un autore, di un’autrice. Io sono stata licenziata prima ancora di cominciare. Resta salva, e intoccabile, la gioia di scrivere, il piacere di essere letta. E non per obbligo, ma perché la storia ti prende, ti chiama dentro, ti fa ridere o piangere o pensare. Certe volte tutte e tre i miracoli.
Al di là dei singoli casi di Saviano o di Scurati, come crede stia reagendo il mondo editoriale al nuovo poltronificio di destra? Si adegua alla nuova egemonia o resiste?
La destra può occupare tutte le poltrone che servono a fingere di aver tolto alla sinistra l’egemonia culturale…ma l’arte non ha padroni.