Che dopo le Europee sarebbe arrivata la resa dei conti Giancarlo Giorgetti lo sapeva bene. Quella del 19 giugno era la prima data importante. Da Bruxelles la Commissione europea ha ufficializzato, con l’apertura delle procedure di infrazione per deficit eccessivo, il ritorno in vigore dopo quattro anni di sospensione delle regole di bilancio comuni. Nella forma del nuovo Patto di stabilità, approvato in via definitiva a fine aprile con l’ok del governo Meloni. Per l’Italia la procedura comporta una stretta, al netto del possibile sconto per tener conto dell’aumento della spesa per interessi sul debito, di almeno lo 0,5% del pil ogni anno. Da Roma l’Ufficio parlamentare di bilancio ha intanto messo insieme i tasselli ricordando che da ora in poi servirà un consolidamento ambizioso e protratto nel tempo” – leggi: niente deficit aggiuntivo – che “imporrà di individuare delle priorità di politica economica“. Entro l’autunno andranno trovati, oltre ai 20 miliardi necessari per rifinanziare le misure coperte solo per il 2024, anche i 10-12 miliardi di aggiustamento chiesto dalla Ue. Il ministro dell’Economia pare concordare su tutto: c’è bisogno di “un approccio prudente e responsabile“, il suo commento. “L’Europa e i mercati ce lo riconoscono sin dal nostro insediamento. Nei prossimi anni, la politica di bilancio non potrà che essere improntata al principio della selettività“.

In autunno si definirà quanto tagliare – La Commissione ha avviato la procedura per deficit eccessivo nei confronti dell’Italia e di altri sei Paesi: Francia, Belgio, Ungheria, Malta, Polonia e Slovacchia. La Spagna è stata risparmiata, considerato che il suo disavanzo rientrerà sotto il 3% quest’anno. Il deficit italiano nel 2023 ha invece raggiunto causa Superbonus il 7,4% del pil e a politiche invariate, stando al Def, scenderebbe al 4,3% quest’anno e al 3,7% nel 2025. I calcoli della Commissione sono più pessimistici e lo danno in risalita al 4,7%. Una correzione è ritenuta quindi inevitabile. La novità è che quest’anno l’avvio della procedura non si accompagna a una contestuale raccomandazione numerica sulla stretta da assicurare: il nuovo Patto prevede infatti che entro il 20 settembre i Paesi presentino a Bruxelles i piani di spesa pluriennali con cui, sulla base della traiettoria di riferimento preparata dalla Ue entro il 21 giugno, intendono portare il debito su un sentiero di riduzione. Roma a quel punto si impegnerà per un orizzonte di sette anni e il percorso di spesa non sarà modificabile se non per circostanze eccezionali. L’aggiustamento da realizzare in risposta alla procedura entrerà nel negoziato con la Commissione sul piano: “Credo che sia un’innovazione importante per evitare di vedere le cose come fossero dei diktat che arrivano da Bruxelles”, ha commentato il commissario europeo all’Economia Paolo Gentiloni, che non vuol sentir parlare di “gabbia di austerità” anche se è evidente che i Paesi dovranno prendere decisioni dolorose. Per ora la Ue si limita comunque a chiedere all’Italia di “presentare tempestivamente” il piano a medio termine e “limitare la crescita della spesa netta nel 2025 a un tasso compatibile con l’inserimento del debito pubblico su una traiettoria plausibilmente discendente nel medio termine e la riduzione del disavanzo pubblico verso il 3%”.

L’Ufficio di bilancio fa i conti – Con il rapporto debito/pil previsto in aumento fino al 2026, quando senza interventi raggiungerebbe il 139,8% causa impatto dei bonus edilizi, il “consolidamento di bilancio” – ovvero una stretta fiscale – secondo l’Upb è inevitabile. Tanto più che le sue previsioni di crescita sono più caute rispetto a quelle del governo. L’organismo indipendente che vigila sulle previsioni di finanza pubblica ricorda, nel rapporto presentato alla Camera, che per rifinanziare tutte le misure varate lo scorso anno più le spese indifferibili il governo dovrà reperire oltre 20 miliardi di euro. In cima alla lista delle spese per cui occorrono coperture c’è come è noto il taglio del cuneo fiscale, che costa oltre 10 miliardi, seguito dal sostegno per gli investimenti nella Zes del Mezzogiorno e rifinanziamento della nuova Sabatini (1,9 miliardi), dalla detassazione del welfare e dei primi di produttività (832 milioni) e dalle “misure a sostegno delle persone indigenti” per quanto molto ridimensionate (650 milioni). L’unificazione delle prime due aliquote Irpef è in parte coperta dall’abrogazione dell’Agevolazione per la crescita economica ma mancano all’appello 615 milioni. Poi ci sono le “politiche invariate”, vedi gli oneri per il rinnovo dei contratti dei dipendenti pubblici. Considerata anche la procedura Ue, la manovra lorda arriva a 32 miliardi.

Il messaggio principale del rapporto è che il tempo delle manovre in deficit e della spesa facile è definitivamente finito. Bisognerà scegliere, tenendo conto però di alcune priorità obbligate: da un lato sarà opportuno “mantenere un livello di investimenti pubblici elevato”, dall’altro “il previsto aumento dei costi legati alla transizione demografica e quelli, più incerti ma potenzialmente elevati, per far fronte alle transizioni energetica e climatica imporrano verosimilmente tagli alle altre
componenti del bilancio”. Per tagliare le tasse l’unica strada saranno “ulteriori riduzioni o tagli dei programmi di spesa”, a meno che non si riesca a trovare risorse “all’interno del sistema fiscale stesso. Un aiuto potrebbe arrivare da un rafforzamento della crescita dovuto a riforme e investimenti previsti dal Pnrr e dal futuro piano strutturale di bilancio.

Giorgetti: “Il taglio del cuneo è un must. Sul resto selezione rigorosa” – Giorgetti, che dovrà gestire questo nuovo corso, si dice d’accordo. Traccia una sola linea rossa: confermare il taglio del cuneo “è un must, è un impegno assolutamente inderogabile, la prima cosa che dobbiamo assicurare”. Come? Non in deficit: “I deficit sono quelli che abbiamo indicato nel nostro percorso, nella Nadef e nel Def, e che intendiamo assolutamente rispettare”. Il quadro tendenziale delineato nel Def, insomma, sarà confermato anche nella versione programmatica. Dove trovare i soldi resta al momento un rebus. Quello che è chiaro è che la politica di bilancio dovrà essere “in grado di selezionare in maniera rigorosa gli interventi da adottare, in modo da assicurare la massima efficacia delle risorse utilizzate e ridurre i divari che a vario livello continuano a caratterizzare il nostro Paese”. Un chiaro messaggio a colleghi e alleati di maggioranza.

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