Chi ha inventato la Maturità? Non forse tutti lo ricordano o lo sanno ma il padre dell’esame è il ministro dell’Istruzione del regime fascista, Giovanni Gentile. La prova tanto temuta dagli studenti ha più di un secolo perché venne introdotta nel Regno nel 1923. Ai tempi si trattava di quattro prove scritte e orali su tutte le materie dell’intero corso, quindi tre anni per il liceo classico e quattro anni per lo scientifico.

La commissione esaminatrice era costituita esclusivamente da docenti esterni, in gran parte professori universitari, ed era presieduta formalmente dal ministro. Gli esami si tenevano fuori sede (quaranta scuole su tutto il territorio nazionale per la maturità classica, venti sedi per la maturità scientifica). La votazione non prevedeva un punteggio unico, ma tanti voti quante erano le materie. Era prevista la sessione di esami di riparazione. Le prime due prove scritte erano italiano e latino, comuni a entrambi i licei; le altre due prove erano greco e ancora latino al classico; matematica, lingua straniera e disegno allo scientifico. Nell’anno scolastico 1924/25 i promossi furono il 59,5% alla maturità classica e 54,9% alla maturità scientifica.

Oggi farebbero rabbrividire questi dati. Da allora sono passati tredici ministri che hanno messo mano all’esame che diventò “di Stato” con Luigi Berlinguer. Fino a tredici anni fa era una “roba” da Unione Sovietica: i testi delle prove scritte venivano stampati e chiusi in buste plastificate, sigillate a calore. Qualche giorno prima degli esami le buste venivano consegnate dal Ministero ai Provveditori agli Studi per le commissioni di propria competenza. Dai Provveditori venivano quindi consegnate ai dirigenti scolastici (o loro delegati), i quali a loro volta li affidavano in custodia alle forze di pubblica sicurezza che, a loro volta, la mattina della prima prova scritta, le consegnavano ai presidenti delle diverse commissioni poco prima dell’inizio dell’esame.

“Santo” Francesco Profumo pensò bene nel 2012, attraverso un sistema criptato a doppia chiave, di dematerializzare le prove. Oggi, l’esame di Stato, resta solo un “rito” nostalgico per chi ha i capelli canuti: gente che pretende che le nuove generazioni (che ogni giorno devono superare prove nella vita ben più difficili della Maturità) provino per forza la sensazione della “Notte prima degli esami”.

Ma di fatto si tratta di un esame che non serve a nulla.

Lo stesso presidente dell’Associazione nazionale presidi, Antonello Giannelli, in un’intervista in questi giorni a “Timeline” su Sky Tg24, ha espresso dubbi sull’utilità dell’esame dal punto di vista valutativo dicendo: “Non consente di fare grandi valutazioni perché ricalca quella che è la valutazione della scuola”, ha affermato. “La domanda legittima sarebbe: perché dobbiamo perdere tutto questo tempo e spendere anche questi soldi se poi dobbiamo dare agli studenti una valutazione che è la media degli anni passati?”. Le stesse università poi fanno dei test indipendenti o comunque non si basano sul voto di maturità, figuriamoci i datori di lavoro privati interessati ad assumere qualcuno che si diploma soprattutto negli istituti tecnici o professionali. A loro sicuramente non interessa nulla del voto.

Non solo. L’esame di Stato non fa alcuna selezione: quest’anno a livello nazionale è stato ammesso alle prove il 96,4% degli studenti.

E allora, non siamo ipocriti: togliamo di mezzo questa prova fascista e risparmiamo gli oltre duecento milioni del costo della Maturità.

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