Proporre nomine alle cariche di verticei top jobs – dell’Unione europea senza guardare all’esito delle elezioni è “surreale“. Inseguire la sinistra, per il Partito popolare, potrebbe essere “fatale“. E l’Italia ha diritto a un “ruolo di massimo rango” nella futura Commissione. Giorgia Meloni, esclusa in modo plateale dalle riunioni dei negoziatori a Bruxelles, ha atteso un paio di giorni prima di parlare. Ha atteso soprattutto che il suo gruppo, quello dei Conservatori e riformisti, diventasse il terzo più numeroso dell’Europarlamento sopra i liberali di Renew Europe, grazie a un manipolo di nuovi ingressi. Ed è andata all’attacco: “Ho trovato surreale che alcuni siano arrivati coi nomi senza neanche tentare prima una riflessione su quale fosse l’indicazione dei cittadini”, ha incalzato la premier parlando alla festa dei cinquant’anni de Il Giornale. Il terzetto proposto da popolari, socialisti e liberali prevede Ursula von der Leyen confermata alla presidenza della Commissione, l’ex premier portoghese António Costa al Consiglio europeo (in quota socialisti) e l’estone Kaja Kallas come Alto rappresentante per la politica estera (per Renew). Meloni non è contraria tanto ai nomi, quanto al metodo: l’Italia, per lei, ha diritto a un posto in prima fila perché il suo partito, Fratelli d’Italia, è tra le poche forze di governo uscite rafforzate dal voto. L’obiettivo della premier quindi è incassare una delega di peso tra le 26 poltrone della Commissione in cambio del voto favorevole dei suoi europarlamentari al bis di von der Leyen, senza però entrare in maggioranza.

Né la presidente della Commissione uscente né il Ppe hanno intenzione di non accontentare Meloni. Nei Popolari, tuttavia, si assiste ad una sotterranea frattura tra chi guarda a destra e chi invece, come il premier polacco Donald Tusk, non vuole aprire le porte a formazioni considerate estremiste, tra cui Fratelli d’Italia. Anche per questo nel gruppo c’è chi auspica una mossa della stessa Meloni che la porti ad allontanarsi dal partito polacco del Pis guidato da Mateusz Morawiecki (predecessore e arci-nemico di Tusk in Polonia) e a scaricare definitivamente l’ungherese Viktor Orbán. Lunedì a Bruxelles, però, i primi due incontri di Meloni sono stati proprio con Morawiecki e Viktor Orbán. E nel Ppe non hanno fatto salti di gioia. Socialisti, liberali e Verdi, intanto, continuano a inserire il partito della premier italiana nell’insieme delle destre da evitare.

La partita è complessa, segnata da ambiguità e non detti: il Ppe afferma con decisione di partire dalla maggioranza Ursula (con i socialisti e i liberali) che conta il 55% del totale dei seggi, ben sapendo che così von der Leyen finirebbe vittima dei franchi tiratori, che nel 2019 furono ben settanta. La Spitzenkandidatin, per avere certezza del bis, avrebbe bisogno dei voti sia dei Verdi sia dei meloniani. E questi ultimi sono i più difficili da guadagnare, come conferma anche Carlo Fidanza, uomo di fiducia di Meloni all’Eurocamera: “Non abbiamo alcuna smania di votarla. Ricordo che cinque anni fa non lo abbiamo fatto e oggi non abbiamo impegni di alcun tipo”, dice ad affaritaliani.it a proposito del bis di von der Leyen.

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