Diventa legge con l’ok del Senato (ottanta sì, tre no e 57 astenuti) il ddl sulla cybersicurezza, presentato a febbraio dal governo e già approvato dalla Camera a maggio. A favore tutto il centrodestra, mentre si sono astenuti Pd, Movimento 5 stelle e Italia viva e l’Alleanza Verdi e Sinistra ha votato contro. Il testo prevede un rafforzamento degli obblighi di sicurezza della pubblica amministrazione contro gli attacchi hacker e un innalzamento delle pene per i reati informatici, il tutto però senza nuovi oneri finanziari per lo Stato. E proprio su questa clausola attaccano le opposizioni: “La cybersicurezza è una forma di difesa essenziale che non può essere affrontata a costo zero. Senza i fondi necessari per promuovere l’uso responsabile dei dispositivi digitali, questo provvedimento rischia di essere solo un elenco d’intenti che possono compromettere gravemente la nostra sicurezza informatica”, ha detto in Aula la senatrice rossoverde Ilaria Cucchi. Lo stesso concetto è stato sottolineato dal 5 stelle Roberto Scarpinato, ex pm antimafia: “Questo ddl è destinato a restare una legge manifesto, perché la clausola di invarianza finanziaria priva i soggetti onerati e obbligati delle risorse minimali – personale qualificato, attrezzature, fondi – per assolvere i nuovi delicati e complessi compiti affidati”, ha denunciato (video). Anche per Walter Verini del Pd la legge è “l’ennesimo provvedimento bandiera: evidenzia i problemi e qualche possibile soluzione, ma rischia di rimanere solo un elenco di misure”.

Nel corso dell’esame alla Camera, poi, è stato approvato un emendamento di Enrico Costa – responsabile Giustizia di Azione – che rischia di trasformarsi in un cavallo di Troia per consentire al governo di controllare le indagini in corso. Si prevede, infatti, che gli ispettori ministeriali, nell’ambito delle verifiche periodiche presso gli uffici giudiziari, debbano controllare anche “il rispetto delle prescrizioni di sicurezza negli accessi alle banche dati in uso”, verificando quindi anche quali accessi siano stati fatti. La novità, ha denunciato il deputato M5s Federico Cafiero de Raho, rischia di causare “un allargamento dell’intervento del ministro della Giustizia sui contenuti dell’attività investigativa”; in Aula al Senato anche la dem Anna Rossomando ha sottolineato che il Guardasigilli “potrà esercitare un potere delicatissimo, entrando direttamente nella segretezza delle indagini in corso”. Respinti, invece, tutti gli altri emendamenti di stampo “garantista” presentati da Costa, che prevedevano, tra le altre cose, il carcere fino a tre anni per chi diffonde informazioni provenienti da accessi abusivi a sistemi informatici, multe fino a ventimila euro per i cronisti che pubblicano intercettazioni citate nelle ordinanze di custodia cautelare e l’estensione del segreto investigativo anche agli atti già conosciuti dalle parti.

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