In occasione del World Refugee Day, la Giornata mondiale dei profughi indetta dalle Nazioni Unite e celebrata il 20 giugno di ogni anno, la ong tedesca Sos Humanity pubblica un rapporto sull’attività della nave Humaity 1, operativa nel Mediterraneo dal 2022, anno in cui si insedia il governo di Giorgia Meloni. Il primo capitolo del rapporto punta il dito proprio sui decreti introdotti dall’esecutivo, che limitano l’operatività delle navi umanitarie con nuove regole, sanzioni amministrative e porti lontani. Sommate alle controverse modalità di coordinamento del soccorso da parte dei Paesi costieri, Italia e Malta compresi, le scelte del governo – denuncia l’organizzazione – hanno contribuito a rendere le rotte del Mediterraneo ancora più pericolose e letali. La rotta centrale conta ormai 1.000 vittime solo nel 2024 e in totale, dal 2014, sono 29.922 i migranti dispersi nel Mediterraneo.

Alcune di queste morti hanno uno stretto legame con le scelte fatte dalla Ue e dai Paesi membri. Da quando l’Unione si è ritirata dal soccorso marittimo con la fine dell’operazione Mare Nostrum nel 2014 e il ritiro delle navi dell’operazione militare europea Sophia nel marzo 2019, il soccorso in acque internazionali al di fuori delle zone costiere è svolto principalmente da navi non governative. La cui presenza ha inciso in percentuale minima sul numero degli sbarchi registrati negli ultimi anni (meno del 10 per cento nel 2023) e tuttavia ha fatto la differenza per molti, anche evitando respingimenti illegali. Nondimeno il governo ha perseverato nell’ostacolarne l’attività. Innanzitutto con la scelta di assegnare porti lontani alle navi umanitarie. Da settembre 2022 a marzo 2024 la Humanity 1 ha salvato 2.223 persone in 37 diversi salvataggi, vedendosi assegnare porti lontani per ben 14 volte: Ancona (due
volte), Bari (due volte), Civitavecchia Crotone (due volte), Livorno (due volte), Marina di Carrara, Ortona, Ravenna e Taranto (due volte). “Nel 2023, le navi di soccorso civili hanno perso 374 giorni nell’area operativa, mentre hanno percorso un totale di 154.538 chilometri su rotte evitabili verso il nord e l’est dell’Italia – equivalenti a più di tre volte e mezzo il giro del mondo. La flotta civile ha perso oltre un anno di tempo operativo durante il quale avrebbe potuto essere attiva nella ricerca e nel salvataggio di persone in difficoltà in mare e potenzialmente evitare numerosi naufragi mortali”, è scritto nel rapporto.

Ci sono poi i fermi amministrativi, le multe, le confische. “Dall’introduzione della legge Piantedosi, le presunte violazioni delle norme illegittime tra febbraio 2023 e aprile 2024 hanno portato a un totale di 21 fermi di navi di soccorso civili e a multe fino a 10 mila euro”, si legge. Non solo. Come raccontato anche dal Fatto, al pari di altre navi la Humanity 1 è stata protagonista lo scorso dicembre di un fermo che le autorità italiane hanno motivato con la versione dei fatti della cosiddetta Guardia costiera libica, poi rivelatisi una menzogna tanto che un giudice ha ritirato il provvedimento e rilasciato la nave. Negli stessi giorni subiscono il blocco la Sea-Watch 5 e la Sea Eye 4, alla quale viene applicata la reiterazione dell’illecito che vale due mesi di fermo e il rischio di sequestro alla prossima occasione. “In totale, le navi di soccorso della flotta civile sono state trattenute per 446 giorni – ben più di un anno – che avrebbero potuto impiegare per salvare vite umane nel Mediterraneo”, dice il rapporto. C’è poi la decisione del governo di imporre alle navi civili come la Humanity 1, capaci di ospitare diverse centinaia di persone, l’immediato abbandono dell’area dopo il primo salvataggio, anche se ci sono altre segnalazioni di barche in pericolo che sarebbe possibile soccorrere. La legge (15/2023) non vieta esplicitamente i salvataggi multipli perché sarebbe illegale. “Tuttavia, l’esperienza operativa dimostra che il Centro di coordinamento italiano dei soccorsi invita le navi di soccorso a lasciare immediatamente l’area operativa, anche se ci sono informazioni su altre emergenze”, riporta Sos Humanity. Nel maggio 2023, al capitano di Humanity 1 è stato negato il permesso di cercare un’imbarcazione in pericolo, già segnalata dai superstiti del precedente soccorso che avevano perso di vista l’altra barca dopo giorni di navigazione. “L’imbarcazione poteva trovarsi nelle immediate vicinanze, ma anche dopo ripetute richieste il Centro di coordinamento italiano dei soccorsi ha rifiutato il permesso di cercarla. Il destino delle persone a bordo rimane tuttora sconosciuto”, dice il rapporto.

Secondo la ong, “il rapporto mostra nero su bianco come le richieste di soccorso di persone in fuga attraverso il Mediterraneo centrale non vengano deliberatamente trasmesse alle navi di soccorso civili”. Oltre ai nuovi decreti c’è una prassi a dir poco controversa nella gestione del coordinamento dei soccorsi. Le norme internazionali e il diritto del mare, ricorda la ong, sono chiari: “Il primo Centro di coordinamento del soccorso raggiunto è responsabile del coordinamento del caso di emergenza in mare fino all’assunzione di responsabilità da parte del Centro di coordinamento del soccorso competente o di un’altra autorità”. In altre parole, se ci sono persone in pericolo, qualunque sia il tratto di mare, ogni Stato costiero deve attivarsi e fare tutto il necessario perché i soccorsi siano tempestivi e le persone sbarcate in un porto sicuro. Ma nella pratica non sempre è così. “I centri di coordinamento dei soccorsi a Malta e in Italia, e l’agenzia europea per la protezione delle frontiere Frontex, in genere non trasmettono le informazioni sulle emergenze marittime alle navi civili che si trovano nelle vicinanze, anche se si tratta esplicitamente di navi di soccorso”. Modalità di cui nessuno risponde nonostante i tribunali italiani abbiano già sanzionato la prassi, già costata vite umane in passato. Quanto al Centro di coordinamento dei soccorsi libico, “non è mai stato raggiungibile in inglese, né ha garantito che i salvataggi fossero effettuati in conformità con il diritto marittimo applicabile”. Ancora: “Un totale di 16 delle 38 missioni di ricerca e soccorso di Humanity 1 nel periodo da settembre 2022 ad aprile 2024 si sono svolte nella zona di ricerca e soccorso libica. In nessuno di questi casi il Centro di coordinamento dei soccorsi libico ha risposto alle richieste di Humanity 1 e ha adempiuto al suo obbligo legale di coordinamento”. Per non parlare delle volte in cui la cosiddetta Guardia costiera libica addestrata e finanziata dall’Italia, ricorda il rapporto, ha minacciato gli equipaggi umanitari e i migranti mettendoli in pericolo.

Il rapporto si conclude con una serie di richieste d’intervento all’Unione e agli Stati membri e in particolare all’Italia perché smetta il boicottaggio dell’attività umanitaria in mare. La ong chiede innanzitutto il rispetto del diritto internazionale e dei diritti umani, l’assegnazione immediata di porti sicuri vicini, il miglioramento della coordinazione delle operazioni di salvataggio e la cessazione della cooperazione con la Guardia Costiera Libica, dando sempre la priorità al diritto alla vita. Quella delle persone che al rapporto di Sos Humanity regalano molte testimonianze, anche a sostegno del fatto che la stessa Tunisia, con cui lo scorso luglio Ue e Italia hanno firmato un protocollo d’intesa per il controllo dell’immigrazione, non è un Paese sicuro, soprattutto per i subsahariani vessati anche a causa della propaganda del regime di Kais Saied che ha innescato la caccia al nero nel Paese. Una per tutte, citiamo la testimonianza di Demsy dalla Costa d’Avorio. E’ una delle 403 persone in fuga dalla Tunisia soccorse dalla Humanity tra giugno e luglio 2023. “Quando sono tornato avevano picchiato mia moglie. L’hanno picchiata, perdeva sangue dall’addome e vomitava. L’avevano picchiata senza motivo. […] Siamo andati in ospedale. Ma i medici mi dissero che non c’era posto per lei. Ho perso il mio bambino. Questo è stato il motivo per cui ho lasciato la Tunisia con mia moglie. Anche la polizia tunisina ci dava la caccia. Se ti prendono, ti mandano nel deserto. Sono andato nella boscaglia con mia moglie, negli uliveti. Ci siamo nascosti lì per quattro giorni, con solo biscotti, finché la polizia non se ne è andata. Non ho mangiato nulla. Poi un amico mi ha chiamato e mi ha detto: Dai, andiamo in Italia se saliamo su una barca. Ho pensato: Ci sono rischi ovunque. Non è legale. Ma cosa dovevo fare? Se resto qui, mi uccideranno. Quindi devo imbarcarmi per vedere se posso arrivare in Italia”.

foto credits: Pietro Bertora – Sos Humanity

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