È stata annullata dalle Sezioni unite della Cassazione la sentenza disciplinare con cui il Consiglio superiore della magistratura ha condannato alla censura la magistrata Alessia Sinatra, pm a Palermo, per “comportamento gravemente scorretto” nei confronti dell’ex procuratore di Firenze Giuseppe Creazzo. L’accusa riguarda una serie di messaggi inviati nel 2019 da Sinatra a Luca Palamara (l’ex capo della sua corrente, Unità per la Costituzione, poi radiato dall’ordine giudiziario dopo lo scandalo nomine) chiedendogli di intervenire sui consiglieri del Csm perché non appoggiassero Creazzo nella corsa a procuratore di Roma, dicendosi “disposta a tutto” per scongiurare la sua elezione. L’ostilità di Sinatra era dovuta a una molestia subita dal collega nel dicembre 2015, durante un’iniziativa di corrente in un hotel romano, sanzionata dallo stesso Csm con la perdita di due mesi di anzianità. La pm aveva scelto di non denunciare Creazzo in sede penale (la violenza sessuale di lieve entità non è perseguibile d’ufficio) né aveva mai chiesto il risarcimento danni in sede civile. Ma in seguito aveva cercato – per usare le sue stesse parole – “un’anelata e privatissima rivincita esclusivamente morale” spendendosi per far fallire la sua corsa al vertice della Procura più importante d’Italia. “Giurami che il porco cade subito“, “il mio gruppo non lo deve votare“, “porco mille volte”, “è pure scemo”, “dice che gli mancano due voti e ce la può fare, non si può correre il rischio”, sono alcune delle chat “incriminate” rivolte a Palamara.
Nel febbraio 2023 la Sezione disciplinare del Csm aveva ritenuto i fatti meritevoli della censura, nonostante l’accusa, rappresentata dalla Procura generale della Cassazione, avesse chiesto l’assoluzione per la “scarsa rilevanza del fatto“: nella sentenza si sottolineava “l’intrinseca scorrettezza e gravità della condotta, che si è concretizzata in una sorta di giustizia fai-da-te“. La difesa di Sinatra ha impugnato la condanna alle Sezioni unite, che hanno confermato la sussistenza della violazione – respingendo tre motivi di ricorso su quattro – ordinando però una nuova motivazione sul perché non sia applicabile il salvacondotto della “scarsa rilevanza”, previsto dalla legge sugli illeciti disciplinari nei magistrati. “La sentenza della Sezione disciplinare, nel valutare la condotta sicuramente inopportuna della dottoressa Sinatra, connotata da modalità di comunicazione non consone al ruolo rivestito ed esorbitanti nei contenuti, non ha però verificato in concreto e a posteriori se e in che modo” i messaggi della pm si siano tradotti in una “concreta interferenza” nelle attività del Consiglio superiore, o in subordine abbiano “leso l’immagine del magistrato e della magistratura”. In questo senso, sostiene la Cassazione, “la Sezione disciplinare si limita a ricordare genericamente che i fatti avevano avuto risonanza pubblica”, senza però citare circostanze oggettive.
Secondo le Sezioni unite, inoltre, nel negare l’assoluzione per “scarsa rilevanza” il Csm “ha trascurato di considerare” le motivazioni soggettive del comportamento di Sinatra, “limitandosi ad un apprezzamento negativo” della scelta di non denunciare Creazzo, una decisione che invece deve restare affidata “alla singola sensibilità” della vittima e non può da sola “qualificare negativamente il comportamento successivamente tenuto”. E in questo senso “non si può tralasciare di prendere in considerazione l’influenza” che sullo sfogo di Sinatra “può aver avuto la grave e protratta sofferenza che accompagna chi sia stato vittima di molestie sessuali”, sottolinea la sentenza, ricordando che l’episodio aveva causato nella pm “crisi di ansia e attacchi di panico in situazioni legate alla rievocazione di quell’evento”. In ogni caso, quella per i messaggi a Palamara non è la sanzione disciplinare più grave a cui è stata sottoposta Sinatra: lo scorso novembre è stata condannata alla sospensione dal servizio per sei mesi e al trasferimento d’ufficio a Caltanissetta – con le funzioni di giudice civile – per aver lasciato nei cassetti fascicoli delicatissimi per stalking, sequestro di persona e violenze sessuali su minori, dimenticandoli per nove, dieci o addirittura 17 anni e facendoli prescrivere. Anche questa sentenza è stata impugnata in Cassazione.