Giovanni Toti “si è reso conto della prospettazione accusatoria e, pur ritenendo di avere sempre agito nell’interesse pubblico, si è reso conto della necessità di adeguare futuri comportamenti alla stessa”. Lo scrive l’avvocato Stefano Savi, legale del governatore ligure – ai domiciliari dal 7 maggio con l’accusa di corruzione – nel ricorso al Tribunale del Riesame contro il no alla revoca degli arresti domiciliari, arrivato il 14 giugno dalla gip di Genova Paola Faggioni. Riprendendo le argomentazioni già usate nella prima istanza, Savi sostiene l’inesistenza del rischio di reiterazione del reato – una delle esigenze cautelari riconosciute dal giudice – in quanto, scrive in sostanza, se Toti tornasse libero e in carica starebbe molto attento prima di chiedere finanziamenti a imprenditori in potenziale conflitto d’interessi, come il magnate del porto Aldo Spinelli: “La sua volontà di non violare divieti e di non tenere comportamenti anche solo astrattamente rilevanti dal punto di vista penale lo farà astenere dal proseguire con modalità che la diversa lettura data dall’accusa considera illecite o comunque non dovute”, assicura. Nei giorni scorsi la difesa ha chiesto al gip di autorizzare un incontro di Toti con i vertici politici della maggioranza che lo sostiene, in modo da potersi confrontare sull’ipotesi di dimissioni.

Il ricorso al Riesame è stato annunciato dall’avvocato con una nota: “Alla luce dei progressi fatti dalle indagini, con i nuovi testimoni auditi dai pm, oltre che dalla imponente mole di materiale probatorio raccolto, alla luce altresì dell’interrogatorio dello stesso Toti, della consapevolezza di quanto contestato come reato, della pubblicità dell’inchiesta stessa, dell’assenza di imminenti tornate elettorali – le prossime saranno per il rinnovo del Consiglio regionale, alle quali a legislazione vigente Toti non potrà partecipare – riteniamo che non sussistano più le necessità degli arresti domiciliari. Questo anche tenuto conto della necessità di bilanciare le esigenze processuali con quelle del mandato popolare, ritenuto meritevole di tutela dalla legislazione vigente e dalla Costituzione”, si legge. In subordine alla revoca dei domiciliari, la difesa ne chiede “la trasformazione in una misura meno afflittiva“, come l’obbligo o il divieto di dimora, compatibile con le valutazioni politiche necessarie al momento”. L’interdizione dalla carica invece non è applicabile, trattandosi di un ufficio elettivo.

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