Cinema

Francesco Pannofino e i 30 anni di Forrest Gump: “Mi chiedono sempre la frase ‘La vita è una scatola di cioccolatini'”

“Stupido è chi lo stupido fa”. Alzi la mano chi non ricorda la voce (doppiata) di Tom Hanks in Forrest Gump. A trent’anni dall’uscita in sala del film diretto da Robert Zemeckis, il Pesaro Film Festival 2024 diretto da Pedro Armocida gli dedica una serata con visione su mega schermo in piazza del Popolo. E sul palco sale proprio quella voce lì: quella di Francesco Pannofino. Certo, il Renée Ferretti di Boris lo riconosciamo visivamente al volo, ma nel doppiaggio di Forrest, così goffo e sincopato, eppure lirico e commovente, va scovato strato dopo strato il lavoro di pregio finissimo di uno dei doppiatori più bravi di sempre, appiccicato addosso ad un personaggio naturalmente memorabile.

Fu più la gioia nell’aver doppiato Forrest Gump o la difficoltà nel farlo?
Direi tutte e due. All’inizio si cercava una voce che potesse caratterizzare quel personaggio interpretato così bene da Tom Hanks. C’era la difficoltà di restituire non solo le sue emozioni ma anche le sue espressioni. Hanks si avvaleva di un forte accento dell’Alabama che aveva carpito da adolescente. Da grande attore qual è, si è ispirato a quella parlata con un accento forte del sud degli Stati Uniti, letteralmente irriproducibile in italiano.

L’impaccio e la goffaggine che la parlata di Forrest ha come l’hai costruita?
Mi sono semplicemente riaccostato alla voce di persone che avevano quel tipo di problematica nell’esprimersi e che avevo conosciuto,. Quello che contava però era restituire l’ingenuità e la poesia di Forrest. Penso peraltro di esserci riuscito. Quando andai in sala a vedere il film in mezzo al pubblico, quando c’era da ridere tutti ridevano, quando c’era da commuoversi tutti si commuovevano.

Come arrivò la proposta per quel doppiaggio?
Facevo parte di una società di doppiaggio, la CDC, e fecero delle audizioni, anzi tre provini. Mi dissero che non ero quello giusto, ma quello che si era avvicinato di più e mi presero.

Vi mostrarono prima il film e poi ci lavoraste su?
Ci fecero vedere film in originale e poi grazie a un grande direttore del doppiaggio come Manlio De Angelis indirizzammo toni e ruoli. Ci misi tanto per doppiarlo. Praticamente un mese. Era un testo (scritto da Eric Roth, che vinse anche l’Oscar ndr) molto complesso. Prima registrai la voce fuori campo poi doppiai i pezzi in presa diretta.

Luca Ward viene fermato spesso per strada e gli chiedono sempre la celebre frase di Russell Crowe nel Gladiatore…
A me chiedono sempre: “La vita è una scatola di cioccolatini, non sai mai quello che ti capita…”

“Sono un po’ stanchino…”
(Pannofino ripete la frase con l’accento di Forrest ndr). La frase era identica, cercammo di essere fedele all’originale.

Hai doppiato decine di star di Hollywood, tra cui George Clooney, Denzel Washington, Kurt Russell: come fai a sdoppiarti di continuo, ad entrare così spesso in qualcun altro?
È questione di mestiere. Lo impari con gli anni. Ti devi incollare alla faccia del protagonista. Il doppiaggio è un trucco cinematografico. Un modo che permette alle persone di fruire il film senza conoscere la lingua originale. Scena per scena si va appresso alla faccia dell’attore e a quello che dice.

Sotto un video di Forrest Gump su Youtube ci sono 184 commenti, tutti positivi, un tizio scrive: “Pannofino, l’uomo con un subwoofer nelle corde vocali”…
(ride ndr) Non lo sapevo di averlo!

Prima che iniziassi il lavoro di doppiatore ti hanno mai detto “oh Pannofino che bella voce che ha”?
Mai nessuno. Ci ho provato io da solo. Ero un 19enne incosciente. Bisogna incominciare da giovani, così c’è sempre tempo per un piano B.

Il primo film che hai doppiato?
Un telefilm per la tv dei ragazzi. Dicevo una battuta “Ti fermi o riparti?”

In Italia esistono correnti agguerrite antidoppiaggio nei film…
Beh, si è iniziato a doppiare nel dopoguerra con l’arrivo dei film americani e ne è nata una scuola di alto livello. Non dimentichiamoci che per la produzione il doppiaggio è un costo, ma si è provato spesso a proiettare film in lingua originale: al cinema però non ci va nessuno

Rifaresti tutto quello che hai fatto nella tua carriera?
“Continuo a far tv, teatro, cinema. Questa strada non l’ho scelta è venuto da sola: saper fare un po’ più di cose aiuta a combattere lo spettro della disoccupazione incombente (ride ndr)

Ti è mai capitato che qualche attore di Hollywood ti facesse i complimenti per il tuo lavoro?
George Clooney mi chiamò. Sei un grande attore, mi disse. E io: ti voglio conoscere. E lui: quando sono meno ubriaco. Anche Michael Madsen quando venne in Italia per la promozione di Kill Bill volle complimentarsi con me di persona. Ricordo che aveva un bicchiere di Tequila in mano.

A quale attore doppiato sei più affezionato?
Guarda non saprei. A Denzel, a Daniel Day Lewis, a Banderas. Guardandoli e doppiandoli ho carpito come lavorare con gli occhi e con il primo piano.

Una volta in Italia si doppiava anche il porno in Italia: l’hai fatto?
Come no! Da ragazzino, quando ancora c’erano i porno in pellicola. Una fatica! Ti tocca riprodurre tutti i fiati, i versi… Devi andare in iperventilazione.