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Il 2% del Pil per le spese militari è ormai una soglia di partenza e non di arrivo

La spesa militare mondiale è aumentata in maniera considerevole raggiungendo il massimo storico di 2.443 miliardi di dollari. “L’aumento senza precedenti è una risposta diretta al deterioramento globale della pace e della sicurezza”, secondo il SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute). La spesa militare dell’Ucraina nel 2023 era pari al 59% di quella della Russia. Tuttavia, durante l’anno l’Ucraina ha ricevuto almeno 35 miliardi di dollari in aiuti militari, di cui 25,4 miliardi dagli Stati Uniti. Insieme, questi aiuti e le spese militari dell’Ucraina equivalgono a circa il 91% della spesa russa.

Gli Stati Uniti rimangono il principale finanziatore della Nato ma i membri europei aumentano la quota. Un decennio dopo che i membri della Nato si erano formalmente impegnati a raggiungere l’obiettivo di spendere il 2% del Pil in ambito militare, 11 su 31 membri della Nato hanno raggiunto o superato questo livello nel 2023, il numero più alto da quando è stato assunto l’impegno, il che fa presumere che il 2% non equivale più ad una soglia massima ma bensì ad una base di partenza.

Secondo la classificazione Nato, nel 2023 l’Italia ha speso 28,6 miliardi per la difesa. Nel 2024 dovrebbe riuscire a spenderne 39,2 miliardi per essere in linea con la richiesta del 2% del Pil. Dai dati del documento programmatico pluriennale della Difesa, nel 2023 l’Italia ha speso l’1,46% del Pil, nel 2024 spenderà l’1,43% e nel 2025 l’1,45%.

Stando alle dichiarazioni, riportate da Reuters, Trump durante un convegno elettorale avrebbe detto, nei fatti, di essere pronto a incoraggiare la Russia a invadere i Paesi che non versano alla Nato il 2% del loro Pil, come Germania e Italia, perché meno meritevoli di protezione di quelli che lo restituiscono, come Slovacchia o Grecia. Ma mentre il 2% del Pil di Bratislava e Atene è pari rispettivamente a 6 e 2 miliardi di euro, l’1,57% di Berlino e l’1,46% di Roma corrispondono, rispettivamente, a 64 e 29 miliardi di euro. Un altro obiettivo, quello di destinare almeno il 20% della spesa militare alla “spesa per attrezzature”, è stato raggiunto da 28 membri della Nato nel 2023, rispetto ai 7 del 2014.

L’aumento delle spese militari della Cina fa aumentare la spesa dei paesi vicini. La Cina, il secondo paese per spesa militare al mondo, ha stanziato circa 296 miliardi di dollari per l’esercito nel 2023, con un aumento del 6,0% rispetto al 2022. Il Giappone ha stanziato 50,2 miliardi di dollari per le sue forze armate nel 2023, ovvero l’11% in più rispetto al 2022. Anche la spesa militare di Taiwan è cresciuta dell’11% raggiungendo 16,6 miliardi di dollari.

La spesa militare stimata in Medio Oriente è aumentata del 9,0% raggiungendo i 200 miliardi di dollari nel 2023. Si tratta del tasso di crescita annuale più alto registrato nella regione negli ultimi dieci anni. La spesa militare israeliana, la seconda più grande nella regione dopo l’Arabia Saudita, è cresciuta del 24% per raggiungere i 27,5 miliardi di dollari nel 2023. L’aumento della spesa è stato principalmente guidato dall’offensiva su larga scala di Israele a Gaza in risposta all’attacco al sud di Israele da parte di Hamas, nell’ottobre 2023.

Questa corsa agli armamenti non produce grandi effetti economici, se non per le lobby delle armi. In Germania, Italia e Spagna, le disparità nei tassi di crescita del settore militare e dell’economia in generale sono sostanzialmente simili. Gli armamenti assorbono molte delle risorse che i paesi tolgono ad altri settori importanti. In media, ogni cittadino dei Paesi Nato della Ue nel 2023 ha pagato per la spesa militare 508 euro contro i 330 euro del 2013: il conto per ogni cittadino italiano sarà di 436 euro.

Secondo l’agenzia rating Moody’s la corsa al riarmo nei Paesi della Nato complicherà gli sforzi di riduzione del debito e potrebbe indebolire il loro profilo di credito esacerbando il conflitto sociale. Spagna e Italia sono i Paesi particolarmente vulnerabili, avendo i maggiori gap nella spesa per difesa e i livelli più bassi di sostegno popolare a ulteriori aumenti di spesa militare.