A quattro mesi dall’ingresso in una nuova amministrazione straordinaria l’ex Ilva gestita da tre commissari governativi chiede la cassa integrazione straordinaria per 5.200 lavoratori dei siti della società, di cui 4.400 solo a Taranto. In pratica la metà di tutti i dipendenti. Per quanto? Non si sa: fino alla fine del commissariamento. L’uso della cigs “sarà strettamente connesso ai livelli di produzione degli stabilimenti”, che nel 2024 sono attesi fermarsi a sole 2,5-3 milioni di tonnellate, e consentirà di ultimare il Piano di ripartenza con l’attivazione dopo l’estate del secondo altoforno”, fa sapere Acciaierie d’Italia in AS, che ha inviato l’istanza di esame congiunto al ministero del Lavoro e a quello delle Imprese e del Made in Italy. La società scrive di essere “consapevole di richiedere alle proprie persone un forte sacrificio“. Parole intollerabili per i sindacati.

Per Loris Scarpa, coordinatore nazionale siderurgia per la Fiom-Cgil, la richiesta “viola gli impegni presi per la ripartenza. Il raddoppio della cassa integrazione è ingiustificabile dal momento che dobbiamo affrontare le manutenzioni ordinarie e straordinarie, e non la fermata della produzione di acciaio. La Presidente del Consiglio e i Ministri competenti si assumano le loro responsabilità e convochino le organizzazioni sindacali e i commissari straordinari per un confronto che rimetta al centro un asset fondamentale per l’industria del Paese. Come Fiom-Cgil vogliamo discutere di lavoro e di un piano di ripartenza che garantisca prospettive per la produzione, l’occupazione, la salute e la sicurezza e l’ambiente”.

Rocco Palombella, segretario generale Uilm, arriva a parlare di “ultimo atto della tragedia dell’ex Ilva, questa volta grazie al Governo e ai Commissari straordinari”. Dopo aver rispedito al mittente la richiesta, spiega che “non si è mai vista una cassa integrazione non legata a un piano industriale, ma alla durata del commissariamento”. Aggiungendo che “è assurdo passare da una richiesta di cassa integrazione per 3mila persone a una richiesta per 5.200, quindi dal 30% a oltre il 50% dei lavoratori. A Taranto quasi il 60% dei lavoratori sarà in cassa integrazione, ci saranno più lavoratori a casa che in fabbrica, è intollerabile“, il giudizio. “Da febbraio aspettiamo la risalita produttiva, i mille interventi di manutenzione previsti con il rientro a lavoro di tutti i manutentori, gli investimenti e il riavvio degli impianti e invece oggi siamo con una produzione al lumicino, impianti fermi, l’aumento della cassa integrazione e solamente un altoforno su tre in marcia. Come se non bastasse oggi arriva questa richiesta assurda che porterebbe alla chiusura totale dell’ex Ilva. Da tempo denunciamo una situazione che non è più sostenibile e il pericolo che corrono le migliaia di lavoratori e tutti gli stabilimenti. Non conosciamo ancora nemmeno il piano industriale. Come è possibile conciliare la vendita di Acciaierie d’Italia con tutto questo?”.

Ben più morbido il segretario nazionale della Fim Valerio D’Alò che si dice non stupito ma chiede “prima possibile l’avvio di un confronto con il sindacato, perché abbiamo già posto sia all’azienda che al governo alcune necessità per noi imprescindibili a partire da turnazioni che rispettino leggi e contratti, come pure la salvaguardia e tutela degli impianti e molte delle altre esigenze di carattere produttivo che devono essere discusse con noi”. “Non lasceremo – conclude D’Alò – che la cassa integrazione sia gestita nello stesso stile e modalità della ‘gestione Morselli‘ (l’ex amministratrice delegata) e come Fim faremo tutto perché ai lavoratori possa essere riconosciuto un ristoro maggiore possibile rispetto alla cassa integrazione”.

Solo ieri il ministro delle Imprese Adolfo Urso – facendo il punto durante un question time alla Camera – ha detto che ci sono tre grandi player internazionali “realmente” interessati all’acquisto del gruppo: la neozelandese Vulcan Steel, Steel Mont con base a Mumbai e l’ucraino-olandese Metinvest, che dopo le viste della scorsa settimana agli impianti italiani hanno confermato il loro interesse. “Questo è stato possibile grazie al fatto che l’avvio della gestione commissariale a febbraio ha garantito il rilancio della macchina produttiva, con piani significativi di manutenzione degli stabilimenti e di salvaguardia degli stessi e dei lavoratori“, ha sostenuto.

Secondo il ministro le imprese dell’indotto nel giro di un mese “dovrebbero ricevere il 70% del loro credito”. Per la Sanac, legata a doppio filo alle commesse dell’acciaieria, “è stata riaperta la procedura di gara, che si concluderà il 10 luglio, con la presentazione delle manifestazioni di interesse, ai fini di collocare a un attore industriale questa azienda significativa”. Sul piatto della riconversione carbon neutral dell’Ilva ci sono 1,7 miliardi di euro: un finanziamento nel 2028 di 1 miliardo di euro a carico del Fondo di coesione e sviluppo, per la realizzazione di un impianto di pre-ridotto, e 700 milioni di euro attraverso l’utilizzo di contratti di sviluppo per chiunque si aggiudicherà gli asset produttivi.

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