Il governo rimette mano alla cauzione per i migranti avviati all’esame accelerato della richiesta d’asilo in quanto provenienti da Paesi considerati sicuri. La formulazione generalizzata di una garanzia finanziaria da 5.000 euro era stata censurata dai tribunali che avevano respinto le richieste di convalida per i primi migranti trattenuti l’anno scorso nel centro di Pozzallo, in Sicilia, dove le procedure accelerate erano state tentate per la prima volta dopo l’introduzione del cosiddetto decreto Cutro. Convalide che i giudici si troveranno presto a valutare anche per i migranti che il governo intende trasportare direttamente in Albania, dove stanno nascendo i centri italiani oggetto del protocollo firmato con Tirana. Così, nell’attesa che la Corte di giustizia europea si pronunci sulla norma respinta dai tribunali con sommo scorno del governo, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha deciso di tagliare la testa al toro e abrogare se stesso.

La trovata, com’era prevedibile, è il decreto appena pubblicato in Gazzetta Ufficiale, che abroga il precedente del settembre 2023 sulla garanzia finanziaria. Che adesso viene esplicitamente descritta come “alternativa” al trattenimento e potrà essere prestata anche da parenti residenti in Italia o nell’Unione. La fideiussione va ora dai 2.500 ai 5.000 euro e a determinarla sarà “il questore competente per l’adozione del provvedimento di trattenimento”. Che dovrà procedere valutando “caso per caso e tenuto conto della situazione individuale dello straniero“. Tenendo conto del “grado di collaborazione fornita dallo straniero nelle procedure di identificazione, desumibile dalla documentazione, anche di natura elettronica, esibita ovvero dalle dichiarazioni rese dal medesimo”, dice l’articolo 2. Elementi utili che vanno dalla declinazione delle proprie generalità e l’indicazione della cittadinanza alla “descrizione delle modalità e degli itinerari del viaggio effettuato e degli eventuali organizzatori dello stesso” e fino alla “indicazione dell’indirizzo del luogo, in Italia, ove intende alloggiare o delle generalità e del recapito anche telefonico della persona o delle persone disponibili a offrigli ospitalità sul territorio nazionale”.

Con la corte europea che ancora si deve pronunciare, quello di Piantedosi è un passo indietro per farne uno in avanti. Per questo il passaggio ammicca alla normativa europea, la direttiva “accoglienza” 33/2013 che prevede la possibilità del trattenimento “ove necessario e sulla base di una valutazione caso per caso”. Ma “salvo se non siano applicabili efficacemente misure alternative meno coercitive”, precisa l’articolo 8. Misure alternative che in Albania, proprio per i termini del protocollo siglato con Tirana, non sembrano esistere. Non solo. Nel quarto comma dello stesso articolo la direttiva prevede che “gli Stati membri provvedono affinché il diritto nazionale contempli le disposizioni alternative al trattenimento, come l’obbligo di presentarsi periodicamente alle autorità, la costitu­zione di una garanzia finanziaria o l’obbligo di dimorare in un luogo assegnato”. Il nuovo testo di Piantedosi soddisfa in pieno il dettato? La nuova “cauzione” non rischia ancora di essere giudicata discriminatoria per chi non ha risorse e resta quindi senza alcuna alternativa al trattenimento? Soprattutto se applicata ai richiedenti trasferiti in Albania, la nuova norma modifica ma non sembra risolvere. A meno che la valutazione “caso per caso” il questore non la voglia fare in mezzo al mare.

Più che una soluzione, quella di Piantedosi sembra dunque un escamotage per dire “tutto risolto, andiamo avanti”. A fare i conti col nuovo decreto saranno invece i giudici che, come promesso dalla premier Giorgia Meloni, già dal primo agosto si troveranno a valutare le richieste di convalida di trattenimento dei primi approdati in Albania. Non è una posizione invidiabile quella dei giudici, visto il trattamento riservato a quelli di Catania che avevano disapplicato il decreto Cutro e respinto i trattenimenti a Pozzallo. Nove mesi dopo la palla è di nuovo nella loro metà campo, quasi il funzionamento del protocollo albanese potesse dipendere dai tribunali più che dalle sue mille incognite, non solo normative. I costi sono esorbitanti, almeno 700 milioni di euro, a fronte di risultati che si prospettano esigui perché, al netto delle bocciature delle richieste d’asilo, sui rimpatri non c’è modo di fare miracoli: dipendono dagli accordi coi paesi d’origine, così i numeri sono sempre gli stessi e riguardano per lo più cittadini tunisini. Suggellata dalla visita pre elettorale in Albania di Meloni, l’operazione potrebbe rivelarsi un fallimento. E un nuovo scontro coi giudici può sempre far comodo.

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