“La condotta del dottor Tarfusser ha creato grave vulnus all’immagine del magistrato e alla giurisdizione del suo complesso, perché pubblicamente si è ingenerata l’idea che qualunque magistrato, forte dell’esigenza di ricercare la verità, si possa arrogare compiti che sulla base dei progetti organizzativi non gli competono“. È uno dei passaggi più duri delle motivazioni della sentenza con cui, il 27 febbraio scorso, la Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura ha inflitto la sanzione della censura a Cuno Tarfusser, il sostituto procuratore generale di Milano che ha chiesto la revisione delle condanne inflitte a Olindo Romano e Rosa Bazzi per la strage di Erba (il nuovo processo si è aperto a Brescia lo scorso marzo). L’accusa nei suoi confronti era di aver mancato ai “doveri di imparzialità e correttezza” per aver depositato di propria iniziativa la richiesta, “in palese violazione del documento organizzativo dell’ufficio” che assegna questa facoltà soltanto al pg presso la Corte d’Appello o al suo vice, l’avvocato generale. Tarfusser, invece – recita il capo d’incolpazione – agì in autonomia il 31 marzo 2023, dopo aver tenuto, senza alcuna delega, lunghi “contatti con i difensori” di Olindo e Rosa, all’ergastolo in via definitiva per il massacro, e aver ricevuto da loro “documenti asseritamente integranti nuovi e decisivi elementi di prova”. Un comportamento, si legge nella sentenza, giustificato “con il desiderio di giustizia e di ricerca della verità che, invece, in uno Stato di diritto, si perseguono nel rispetto dell’ordinamento giuridico”.

Nell’occuparsi del caso di Erba, sottolinea la Sezione disciplinare, Tarfusser “ha agito in fatto come se fosse un componente del collegio difensivo, dimenticando di essere sostituto procuratore generale; ha preparato l’atto sostanzialmente insieme ai difensori dei condannati Romano-Bazzi, ne ha ricevuto le nuove prove e infine ha redatto l’istanza senza alcuno scrupolo di informare i dirigenti dell’ufficio“, in particolare la procuratrice generale Francesca Nanni e l’avvocata generale Lucilla Tontodonati. Non solo: nel provvedimento si sottolinea come il magistrato, “temendo di essere bloccato nel deposito dell’istanza”, si sia rivolto alla pg Nanni “solo a lavoro finito”, inviandole una mail in cui affermava solo di volerle parlare “di una cosa delicata e urgente”, senza alcun riferimento più specifico. Di fronte ai giudici del Csm, la procuratrice aveva sostenuto che si trattasse di un approccio singolare: “La prassi, per i sostituti che mi vogliono parlare, è di venire direttamente nel mio ufficio. La mia porta è quasi sempre aperta. Non mi è mai capitato di ricevere richieste di appuntamento via mail”, spiegava.

“Non avendo avuto immediata risposta alla mail”, prosegue la sentenza, il pm altoatesino “si è affrettato a depositare l’istanza di revisione il 31 marzo 2023, avendo appreso che, per la data del 2 aprile 2023, il programma Le Iene avrebbe affrontato il caso. Poiché, solo con il deposito, la trasmissione televisiva avrebbe potuto parlare della sua istanza di revisione, l’incolpato ha subordinato il rapporto di leale collaborazione che deve sussistere tra magistrati e il principio del buon andamento della pubblica amministrazione alle esigenze dettate dai tempi televisivi, connotando così di maggiore gravità la propria condotta”. Pertanto, si legge ancora, “il dottor Tarfusser ha dimostrato di subordinare i principi costituzionalmente garantiti e sottostanti alle disposizioni relative ai processi organizzativi (…) alla visibilità che l’istanza di revisione avrebbe ricevuto in forza del programma televisivo Le Iene: risultato che in effetti è stato raggiunto, in quanto l’istanza di revisione è stata oggetto di un dibattito televisivo protrattosi per mesi con grande risonanza mediatica“.

Tarfusser, già vicepresidente della Corte penale internazionale, si è candidato con Azione alle elezioni europee dell’8 e 9 giugno, raccogliendo sole 2.139 preferenze (decimo nella circoscrizione Nord-Ovest) e senza risultare eletto, anche perché la lista non ha superato la soglia di sbarramento. La condanna disciplinare non avrà effetti pratici sulla carriera del magistrato, che andrà in pensione obbligatoria ad agosto al compimento dei settant’anni: lui però ha già annunciato di voler impugnare la sentenza di fronte alle Sezioni unite della corte di Cassazione. “Questo procedimento disciplinare un po’ mi offende, un po’ mi indigna. Ma non mi meraviglia: fa parte di un trattamento che ho ricevuto sin da quando sono rientrato dall’estero, quattro anni fa. Ho dovuto prendere atto che il successo non mi è perdonato e che il merito non mi è riconosciuto. Ma ho fatto bene ad agire come ho agito, altrimenti oggi non saremmo alle porte dell’apertura di un nuovo processo per i coniugi Bazzi e Romano”, aveva detto Tarfusser rendendo dichiarazioni spontanee di fronte al collegio del Csm nell’udienza del 27 febbraio.

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