Mancano poche ore all’inizio del 29esimo Budapest Pride, quest’anno in programma il 22 giugno. Così le ambasciate occidentali hanno deciso di mandare un messaggio di vicinanza alla comunità Lgbtq+ del Paese governato da Viktor Orban che continua a promuovere leggi liberticide e in violazione dei diritti in tema di identità sessuale. Così i governi hanno deciso di pubblicare un comunicato in loro sostegno, cercando di coinvolgere le ambasciate di altri Paesi. Folta la partecipazione da parte delle sedi diplomatiche occidentali, ben 23 su 27 Paesi dell’Unione europea hanno deciso di sostenere l’iniziativa. Tra i quattro che, invece, si sono tirati indietro c’è anche l’Italia.

Il testo del comunicato aveva l’intento di esprimere “pieno sostegno ai membri della comunità lesbica, gay, bisessuale, transgender, queer e intersessuale (LGBTQI+) in Ungheria e ai loro diritti all’uguaglianza e alla non-discriminazione, libertà di espressione e riunione pacifica. Il rispetto dello Stato di diritto e dei diritti umani universali sono le fondamenta su cui si costruiscono gli Stati democratici – si legge – Le norme internazionali sui diritti umani si fondano sulla premessa generale che tutti gli individui hanno gli stessi diritti e le stesse libertà senza discriminazioni”.

Un messaggio che ha portato Roma, probabilmente a causa della vicinanza politica mai nascosta tra Giorgia Meloni e Viktor Orban, la Romania e la Slovacchia a essere gli unici Paesi dell’Ue, oltre ovviamente all’Ungheria, a non firmare il documento. Nel testo si legge che gli ambasciatori firmatari rifiutano e condannano “tutti gli atti di violenza, incitamento all’odio, molestie, stigmatizzazione e discriminazione commessi contro individui e comunità sulla base del loro orientamento sessuale, identità o espressione di genere o caratteristiche sessuali e sosteniamo la lotta contro tali atti”. Perché un comunicato di questo tipo proprio a poche ore dall’inizio della manifestazione ungherese? Il riferimento è chiaramente alle politiche dell’esecutivo Orban che negli scorsi anni ha promosso leggi, come la cosiddetta legge anti-gay, che anche dall’Unione sono state considerate una violazione dei diritti umani, portando la Commissione a fare causa a Budapest. Anche in quell’occasione, l’Italia di Meloni decise di non sostenere l’iniziativa di Palazzo Berlaymont.

“Siamo seriamente preoccupati per la recente applicazione della legislazione e della retorica politica, anche in Ungheria, che è in conflitto con i principi di non discriminazione, con il diritto internazionale dei diritti umani e con la dignità umana, e contribuisce alla stigmatizzazione della comunità LGBTQI+ – continua il documento – Ciò include sforzi politicamente motivati ​​per prendere di mira le persone LGBTQI+, le loro famiglie e la rappresentazione delle persone LGBTQI+ nei libri, nelle istituzioni culturali e nei media. Sottolineiamo la necessità che leader e governi, qui e altrove, mostrino rispetto e proteggano i diritti delle comunità e degli individui LGBTQI+ e che eliminino leggi, pratiche e politiche che li discriminano”.

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