Il prossimo 7 luglio Papa Francesco arriverà in visita a Trieste, a conclusione della 50a edizione delle Settimane sociali dei cattolici italiani, che già il 3 luglio verrà inaugurata dal presidente Sergio Mattarella. Già nei mesi scorsi il Papa aveva annunciato l’intenzione di visitare anche il cosiddetto “Silos”, un fatiscente edificio accanto alla stazione cittadina, già magazzino portuale ai tempi dell’Impero austroungarico. Desiderava incontrare i richiedenti asilo arrivati dalla rotta balcanica, abbandonati tra il fango e i topi, al freddo nelle tende rattoppate, tra immondizia e fornelli da campo (foto). Apriti cielo, sia mai. Per impedire che il Pontefice regalasse al mondo quell’immagine della città, il sindaco di Trieste Roberto Dipiazza, che negli anni passati e fino a ieri non ha mai mosso un dito, ha firmato dieci giorni fa l’ordinanza per lo sgombero del Silos. Eseguito proprio all’indomani della Giornata mondiale del rifugiato, evacuando un centinaio di persone che avrebbero diritto all’accoglienza. Di peggio c’è solo che il piano b non è ancora stato completato e, da oggi, chi arriva a Trieste non saprà dove andare a sbattere.

Dal 2015, ma soprattutto dopo il 2022, Trieste ha avuto molto di cui vergognarsi. Perché alle persone che arrivano dallo strazio della rotta balcanica, per lo più afgani e pakistani, famiglie con bambini comprese, non ha avuto di meglio da offrire che un rudere infiltrato dalle intemperie. Per anni ci hanno vissuto, anche per mesi, persone che hanno diritto all’accoglienza perché se sei un richiedente asilo lo stabilisce la legge. Invece no, niente da fare. “Se li sistemo poi ne arrivano di più“, è una delle tante bestialità uscite dalla bocca delle istituzioni. Negli anni recenti, la situazione è addirittura peggiorata. Complice il drastico rallentamento nei trasferimenti verso altre regioni – il Friuli Venezia Giulia è una delle regioni con meno posti in accoglienza di tutto il Paese –, la permanenza dei richiedenti nel Silos si è allungata fino a diversi mesi. In una città e in una regione amministrata dal centrodestra che alle soluzioni ha sempre preferito poter gridare al “degrado”.

Un terzo delle persone che giungono in città dopo aver superato la rotta balcanica è dichiarato vulnerabile e tuttavia sarebbe stato abbandonato a se stesso se la rete di volontariato presente in città e nei pressi della stazione non avesse fatto quanto necessario per curare le ferite, offrire un pasto, vestiti. La maggior parte dei migranti però non si ferma, se non una notte. Il 70 per cento prosegue oltre, non vuole restare in Italia. Per anni è stato chiesto alla città di predisporre almeno un’accoglienza di bassa soglia, un ristoro e un posto per la notte per i transitanti. Ma Trieste, come scriveva il poeta Umberto Saba, ha “mani troppo grandi per regalare un fiore“. No, meglio è stato vedere questa umanità accamparsi all’addiaccio, davanti all’ingresso della stazione ferroviaria, così che la gente se ne lamenti.

E adesso? Adesso c’è l’ostello degli scout Alpe Adria, in una località isolata e mal collegata del Carso triestino, il cui promesso ampliamento ha visto iniziare i lavori solo nei giorni scorsi. Un’ottantina di posti che raddoppieranno solo grazie ai container messi a disposizione dall’Agenzia Onu per i rifugiati (UNHCR), nemmeno fossimo in certe sfortunate aree del mondo dove una lamiera diventa casa. Tutto da fare, comunque. “Nel corso dello sgombero sono state identificate 90 persone con richieste di asilo e 10 senza documenti, intenzionate però a chiedere asilo”, ha riferito la polizia. Saranno tutte trasferite altrove, in altre città e regioni. Ma allora basta volerlo? Anche per il futuro è stato promesso un elevato turnover che, assicurano le autorità, eviteranno problemi di posti. “Fosse vero sarebbe la dimostrazione di come in passato è stato solo e unicamente un problema di volontà politica”, commenta Gianfranco Schiavone, presidente del Consorzio italiano di solidarietà (Ics). Di fronte allo sgombero e al piano del Comune fatica a parlare di “soluzione”. E ricorda che la realtà dei transitanti continua ad essere negata. Intanto, già da ieri alcuni richiedenti si sono semplicemente spostati in un altro paio di ex magazzini del Porto vecchio, ad appena un centinaio di metri dal Silos. Stessa cosa, ma un po’ più nascosti. L’importante è che il Papa non lo sappia.

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