Tutto questo discettare di diplomifici – per una volta onore al ministro che affronta il problema, seppure a modo suo – apre uno squarcio sulla privatizzazione dell’istruzione, sul valore dei titoli di studio, sulla qualità dei saperi e delle competenze. Ho fatto parte per quasi trent’anni di commissioni di Maturità, negli ultimi vent’anni come presidente. Oltre agli studenti delle due classi assegnate, mi è anche capitato che ci fosse qualche privatista. In genere si trattava di soggetti che non avevano terminato il corso di studi a tempo debito e che, qualche anno dopo e, maturate convinzioni e motivazioni, decidevano di prepararsi da soli o quasi per affrontare l’esame. Di solito, la mattanza: anche oggi, peraltro gli zerovirgolaqualcosa di bocciati alla maturità sono determinati da persone che ci provano piuttosto che da studenti che hanno seguito i corsi regolari.

Dagli anni 90 in poi, con il crescere delle scuole private – cinque anni in uno, la maturità alla tua portata, tu paghi noi studiamo per te eccetera i “privatisti” hanno cominciato a crescere di numero. Era nato un mercato: tu hai bisogno del diploma per lavorare (in subordine: voglio che mio figlio abbia un diploma, piuttosto glielo compro), noi ti aiutiamo a prenderlo. Lo scoglio principale è proprio la Maturità, nome giusto Esame di Stato. I candidati “privatizzati” da apposite agenzie vengono iscritti prevalentemente presso le scuole paritarie, chissà perché, dove però trovano commissioni composte per metà da docenti statali nominati dai Provveditorati, “presidente” e “membri esterni”. Quindi, privatisti falcidiati, soldi spesi buttati al vento. La commissione di Maturità in questo caso è il baluardo dello Stato e garanzia che oltre il minimo non si va.

Sono anche stato membro di commissioni esaminatrici di concorsi per il reclutamento dei docenti di scuola superiore. L’ultima volta nel 2018, concorso per l’immissione in ruolo di docenti con almeno tre anni di servizio e con i titoli di studio in regola, certificazioni psico-pedagogiche comprese. Non tutti le avevano, il concorso era stato bandito poco prima e non si erano iscritti a corsi universitari in tempo per concludere il percorso, quindi ammessi sub-condicione e poi esclusi nonostante fossero docenti da tempo in cattedra come supplenti o incaricati annuali. Qua e là si era presentato qualcuno che i certificati li aveva conseguiti con un breve corso in Romania, qualcun altro in Spagna, perfino in Bosnia. Ovviamente presso università private regolarmente abilitate e rilasciare titoli riconosciuti come validi in Italia. Un mercato nuovo, creato dalla difficoltà di far corrispondere requisiti e offerta formativa per chi deve possederli; nessuna commissione statale, nessun accertamento a garanzia, bastava e basta la patacca. Loro sono regolarmente passati e oggi sono felicemente docenti di ruolo.

Fra i candidati non ce n’erano di laureati nelle università online private, che erano sorte e cominciavano a diffondersi già allora (nessun candidato aveva meno di trent’anni per via dei requisiti di servizio che era necessario possedere). Adesso i laureati online sulle dispensine cominciano a far valere il loro titolo nei concorsi pubblici, compresi quelli per entrare nella scuola. Senza controlli di merito e qualità se non il concorso stesso. Intanto maturano punteggi con servizi come supplenti e incaricati nelle scuole statali e paritarie, così da richiedere magari fra qualche anno un concorso riservato a loro. Come succede da almeno trent’anni in questo paese dell’ingiustizia.

Perciò non mi sono stupito quando nell’autunno scorso è esploso lo scandalo Bosniagate. La storia di questa truffa l’ho racconta nel marzo scorso e ancora fa capolino dai giornali di tanto in tanto, ogni volta che salta fuori qualche altra schifezza collegata (eloquente il servizio della Rai). A migliaia di studenti che non hanno superato i test di ingresso a Medicina e Scienze sanitarie in Italia viene proposta una scorciatoia a pagamento. Iscrizione alla Jean Monnet, professori italiani, tirocini presso cliniche palermitane e non solo. Insomma una messinscena ben architettata che rende bene: più di mille iscritti, 20mila euro annui la retta per Medicina, 26mila le specialità. La truffa si scopre quando i primi “laureati” chiedono l’iscrizione all’Ordine professionale in Italia. Scoprono che non verranno iscritti perché dal Ministero è nel frattempo arrivato lo stop. Lezioni tutte online – non bisogna andare in Bosnia, si fa tutto a Palermo – esami lo stesso. Docenti dell’università, medici emeriti, qualche luminare, tutti a fare lezioni on line e a garantire col loro nome la bontà dell’operazione. C’era un mercato, creato dalla privatizzazione dell’istruzione e dal numero chiuso all’università, qualcuno ha costruito le proposte giuste con enti e soggetti a cui la voracità ha annullato la dignità.

Tornando ai diplomifici, un occhio andrebbe posato anche sulle lauree italiane à la carte: vorreste che vostro figlio avesse insegnanti così formati? Vi mettereste nelle mani di uno specialista medico formato online? Sarebbe il caso che le università pubbliche, invece di occuparsi quasi solo delle carriere dei docenti, cominciassero ad attivare forme di didattica a distanza concorrenziali con quelle private. Perché lo Stato deve garantire la qualità dell’istruzione e l’uguaglianza nell’accesso. Non solo perché lo dice la Costituzione, è una condizione per evitare quel baratro culturale e cognitivo verso cui il paese avanza a passi da gigante.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Più aggressioni contro i docenti: inutile punire, se il pestaggio avviene anche in Parlamento

next