Il colosso delle armi Rheinmetall ha ricevuto dall’esercito tedesco la commessa più grande della sua storia: 8,5 miliardi di euro per produrre munizioni di artiglieria che serviranno a riempire i depositi vuoti delle Bundeswehr (le forze armate di Berlino), ma in buona misura pure per rifornire ancora l’Ucraina. Il valore del contratto quadro da 1,3 miliardi di euro, già firmato a luglio 2023, è stato infatti aumentato di altri 7,2 miliardi. L’oggetto dell’affidamento consiste in milioni di colpi da 155 millimetri capaci di raggiungere una distanza di quaranta chilometri, da consegnare a partire dall’inizio del 2025. Non è nota la durata del nuovo contratto quadro, anche se il precedente valeva per sei anni. Il governo del cancelliere Olaf Scholz aveva annunciato una “svolta epocale” nel luglio 2022, ottenendo dal Bundestag (la Camera bassa del Parlamento) l’approvazione di uno stanziamento straordinario di cento miliardi per il rafforzamento dell’esercito. Con il protrarsi del conflitto in Ucraina, anche in Germania è iniziata una nuova stagione di investimenti nelle forze armate, culminata nel piano di selezioni obbligatorie per il ritorno alla leva a partire dall’anno prossimo, annunciato dal ministro della difesa Boris Pistorius per aumentare la consistenza dell’esercito attivo e delle truppe di riserva.

Tra i costruttori europei di armamenti, Rheinmetall è forse quello che trae maggiore vantaggio dall’aumento delle spese militari: “Politica e impresa devono lavorare insieme, siamo una cosa sola adesso” ha avuto occasione di dichiarare l’amministratore delegato Armin Papperger. Già nel 2023 la sua azienda aveva registrato un volume di vendite di 7,2 miliardi di euro: quest’anno mira a raggiungere i dieci miliardi, un miglioramento del 40%. Il titolo finanziario, in continua ascesa, è diventato molto appetibile tra gli investitori e da diversi mesi è quasi costantemente quotato al di sopra di cinquecento euro ad azione. Il colosso non sconta più nemmeno le vecchie difficoltà a trovare neolaureati da assumere, tanto è cresciuto – anche tra i giovani – l’appeal per il settore della difesa. Dal maggio 2024 Rheinmetall è persino diventata sponsor della squadra di calcio del Borussia Dortmund, una delle più popolari del Paese: “Con la guerra in Ucraina”, ha detto l’ad del club Hans-Joachim Watzke, l’industria delle armi “ha assunto un nuovo significato, soprattutto oggi che vediamo ogni giorno come la libertà debba essere difesa in Europa”. Un concetto espresso anche dal ministro dell’Economia, il verde Robert Habeck: “Che Rheinmetall sponsorizzi una squadra di calcio è insolito, ma mostra dove siamo, motivo per cui la praticata e anche comprensibile riluttanza a non parlare dell’industria della difesa, a non volersi mostrare politicamente con l’industria degli armamenti, escludere il tutto, non è più sostenibile e non è più corretto”.

D’altra parte, di recente il ministro della Difesa Pistorius aveva avvertito: “C’è una nuova situazione di minaccia. La Russia non ha attaccato solo l’Ucraina ma stanno aumentando anche gli attacchi verbali contro altri Stati. La Duma ha aumentato la produzione di armi. Secondo tutti gli esperti militari internazionali si deve partire dal presupposto che dal 2029 la Russia sarà militarmente capace di attaccare uno Stato della Nato o uno confinante“. Per questo Pistorius intende anche ordinare 105 nuovi carri armati Leopard 2A8 per 2,93 miliardi di euro al gruppo Knds (costituito dalla tedesca Krauss-Maffei Wegmann con la francese Nexter) da consegnare alle Bundeswehr entro il 2030. Alla base della corsa al riarmo in Europa la convinzione che, se l’aggressività ripagherà Putin in Ucraina, l’autocrate russo sarà invitato a ripetere altrove la stessa politica, e dunque il conflitto non debba essere considerato come un evento isolato. Un freno alle spese belliche europee, però, scaturisce dai vincoli comunitari al deficit: in Germania è imposto per legge del 2009 un tetto che non superi lo 0,35% annuo del Pil, vale a dire un massimo di circa nove miliardi quest’anno. A differenza di quanto accaduto all’Italia, però, la Commissione europea non ha aperto una procedura di infrazione nei confronti dello Stato tedesco, censurando anzi la scarsità di investimenti produttivi. Berlino, d’altra parte, quest’anno ha potuto superare il traguardo di 2% del Pil per spese della Difesa, previsto dalla Nato, solo tramite accorgimenti contabili.

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