La libertà d’informazione sta sempre peggio in Europa. L’ultimo atto è quello della chiusura definitiva della Radio e televisione della Slovacchia, cioè l’emittente pubblica del Paese. Al suo posto nascerà una nuova istituzione “meno critica e più conforme” all’attuale politica nazionale: il direttore verrà eletto da un consiglio formato da 9 componenti con quattro candidati del ministero della Cultura. Si chiamerà – con un banale scambio di parole – Televisione e Radio Slovacca. La decisione è passata dal Parlamento, nel quale la maggioranza è guidata da Robert Fico, 4 volte premier, leader populista e nazionalista. L’opposizione, che in segno di protesta non ha partecipato al voto e ha annunciato un ricorso alla Corte costituzionale, ha affermato che il governo stia guidando il Paese seguendo “un manuale degli autocrati“. L’iter di approvazione della riforma è stato accompagnato dalle proteste di migliaia di persone che si sono ripetutamente radunate a Brastislava, guidate da Slovacchia progressista, il principale partito di opposizione. Il piano è stato ampiamente criticato dai giornalisti slovacchi, da organizzazioni internazionali e dall’Unione europea. Nel Paese si aggira sempre più insistentemente la parola “orbanizzazione“, mentre dall’altra parte i politici al governo accusano insistentemente i media di essere la causa delle divisioni nel Paese e di incitare sostanzialmente all’odio politico.

Questo è solo l’ultimo atto dei politici al potere in Slovacchia contro i diritti dell’informazione, dei giornalisti e quindi dei cittadini. Sullo sfondo c’è, come precedente da non dimenticare, l’assassinio di Ján Kuciak, giornalista di 28 anni, ucciso insieme alla fidanzata Martina Kušnírová nella sua abitazione di Veľká Mača, nel distretto di Galanta. Kuciak lavorava per Aktuality.sk e tra le sue ultime indagini prima dell’omicidio stava lavorando su una probabile connessione tra il governo slovacco e la ‘ndrangheta, ma prima si era occupato anche di presunte frodi fiscali e rapporti non chiari tra uomini d’affari e il partito di Fico, Smer. L’ondata di proteste dopo l’assassinio di Kuciak portò alle dimissioni di Fico (perché perse un pezzo di maggioranza) e del ministro dell’Interno Robert Kaliňák. I quali, ora, sono di nuovo al potere, con gli stessi incarichi.

L’ultima svolta di pressing governativo sui media avviene ora per effetto dell’attentato subito dal premier Fico a metà maggio, quando era stato ferito da 4 proiettili sparati a bruciapelo da un “lupo solitario” per ragioni politiche. Ma a fronte di un Paese spaccato in due anche sulla politica estera (un governo considerato morbido con Mosca e un’opposizione più europeista e filo-occidentale) la prima reazione all’attentato al capo del governo è stata prendersela con i giornalisti. “Basta con le bugie, smettete di fomentare l’odio” è stata la prima reazione dopo i quattro colpi di fucili sparati contro il premier. In quelle ore era stato il ministro dell’Interno a prendersela pubblicata con la Bbc, accusata di aver fatto una descrizione sbagliata di Fico e delle sue opinioni sui diritti Lgbt. Il nuovo presidente della Repubblica Peter Pellegrini – vicino a Fico -, che ha sostituito la liberale Zuzana Caputova, al suo giuramento di una settimana fa aveva promesso che il suo impegno sarebbe stato di riunire il Paese. “La politica non deve dividere” gli slovacchi e “non deve diventare il motore di emozioni negative e distruttive”. Ora bisogna capire che cosa intendeva.

Il riflesso condizionato contro i media dopo l’attentato a Fico è passato anche da una riforma delle leggi sulla stampa. Nelle settimane scorse, come ha raccontato tra gli altri il Post, si è parlato di provvedimenti che si avvicinano molto allo sdoganamento delle querele temerarie, come il “diritto di correzione“, che dovrebbe obbligare le testate a cambiare i contenuti che danneggiano “l’onore, la dignità o la buona reputazione” di chi lo chiede. O addirittura si prevede che le pubbliche amministrazioni possano chiedere una specie di risarcimento se vengono richieste informazioni ritenute “eccezionalmente lunghe e complicate“, un aspetto che riguarda in particolare i giornali locali e il loro rapporti con le amministrazioni comunali. Dall’altra parte i relatori degli emendamenti parlano di misure utili a “controllare” che il discorso pubblico non diventi troppo violento.

E poi, oltre alle eventuali riforme in atto, c’è quello che già succede. Per esempio di recente c’è stato il caso Michal Kovačič, giornalista poco più che quarantenne, conduttore del talk show Na telo, trasmesso da una tv privata, Markiza. Nell’aprile 2024 gli esponenti del governo hanno iniziato a boicottare il programma e Kovačič ha pronunciato un discorso a fine puntata: “La direzione di Markiza – ha detto più o meno – è complice dell’agenda del governo di censurare il contenuto politico nei media, rispecchiando l’approccio di Viktor Orbán in Ungheria“. Alla fine l’emittente ha deciso di chiudere il programma, mentre otre un centinaio di giornalisti di Markíza hanno scritto una lettera a sostegno di Kovačič, chiedendo il suo ritorno e garanzie di indipendenza giornalistica nelle trasmissioni di Markíza. Il ministro dell’Interno Kaliňák, premier facente funzioni da quando Fico è in convalescenza, ha commentato l’esclusione di Kovačič descrivendolo come “attivista politico” che si finge giornalista, “incapace di rispettare le regole dell’equilibrio“, che “cerca di trasformare il suo problema personale in un problema sociale di cui sarebbe responsabile il governo slovacco”. Dichiarazioni consuete, quasi familiari, quando la politica si occupa di giornalisti e testate.

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