La Turchia potrebbe essere il primo paese della Nato a entrare a far parte del gruppo dei Brics, acronimo ricavato dai nomi dei suoi primi membri – Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa – allargatosi all’inizio dell’anno con l’inclusione dell’Iran, Arabia Saudita, Egitto, Emirati Arabi ed Etiopia. Gli sforzi di Ankara per ottenere questo obiettivo epocale sono apparsi evidenti durante il G7 in Puglia della settimana scorsa quando il presidente-autocrate Recep Tayyip Erdogan ha tenuto un incontro con il suo omologo brasiliano Lula Ignazio de Silva – anche lui inviato pur non facendone parte.

Il sultano ha chiesto espressamente sostegno al leader del gigante sudamericano nella sua ennesima giravolta geopolitica. Perché è evidente che se Erdogan riuscirà nel suo proposito, il blocco degli ex non-allineati diventerà ancora più potente e potenzialmente in grado di rafforzare la propria posizione sullo scacchiere politico e nell’economia globale nei prossimi decenni. Essendo peraltro la Turchia uno storico e cruciale membro della Nato, molti analisti ritengono impossibile la convivenza di un paese che contribuisce fattivamente al mantenimento dell’Alleanza – che per statuto ha come obiettivo la difesa dei paesi membri – con i paesi che la contrastano, ovvero la maggior parte dei Brics. Ankara però non avverte incompatibilità grazie alla forza derivante innanzitutto dalla sua posizione geografica che ne fa il baluardo sud-orientale della Nato e dall’avere la leadership, assieme all’emirato del Qatar, della Fratellanza Musulmana. Questa corrente dell’Islam sunnita mira a creare partiti di ispirazione musulmana in tutte le nazioni per spingerli all’interno delle istituzioni al più alto livello possibile.

Erdogan ha iniziato a manovrare nella direzione dei Brics lo scorso gennaio tanto che il Cremlino aveva affermato il 9 giugno che l’interesse della Turchia sarebbe stato argomento di discussione il giorno successivo al vertice dei Brics, presieduto dalla Russia, a Nizhny Novgorod, dove ha presenziato anche il ministro degli Esteri turco, Hakan Fidan. Lo scorso agosto, i Brics avevano annunciato l’intenzione di raddoppiare il numero dei propri membri. L’ingresso soprattutto di potenze regionali musulmane, seppur rivali, come Arabia Saudita e Iran ha reso il blocco dei Bric ancora più potente e, a maggior ragione ora, Erdogan spinge per aderirvi. Ma finora non avevano avuto luogo discussioni formali.

In seguito alla decisione dei Brics di espandersi, il ministero degli Esteri turco ha iniziato a valutare i potenziali benefici e costi dell’adesione, secondo un funzionario turco sentito da Middle East eye che ha spiegato: “Non vediamo i Brics come un’alternativa alla Nato o all’Ue. Tuttavia, lo stallo del processo di adesione all’Unione europea ci incoraggia a esplorare altre piattaforme economiche”. Il punto è che il Brics nei fatti non è solo un’associazione economica, bensì un’alleanza geostrategica.

Secondo un altro funzionario turco ( che ha richiesto l’anonimato) “la Turchia è attratta dai paesi Brics perché non richiedono riforme o accordi politici ed economici”. Il funzionario ha aggiunto che gli “alleati sulla carta” della Turchia spesso trascurano le preoccupazioni di Ankara in materia di sicurezza e negano che Ankara abbia armi avanzate: “Vorremmo far parte di ogni piattaforma multilaterale, anche se ci fosse solo una minima possibilità di vantaggio per noi”.

Hayati Unlu, accademico presso l’Università di Difesa Nazionale della Turchia, sostiene che l’interesse della Turchia per i paesi Brics non dovrebbe essere visto come un completo allontanamento dall’Occidente. “La Turchia vuole sviluppare una rete di relazioni complementari ai suoi legami con l’Occidente per superare le difficoltà economiche”, ha affermato. Unlu ha osservato che le tradizionali istituzioni globali, come le Nazioni Unite e l’Organizzazione Mondiale del Commercio, sono sempre più considerate obsolete, portando alla nascita di piattaforme alternative come il Quad (un dialogo sulla sicurezza che coinvolge Australia, India, Giappone e Stati Uniti) o i Brics in espansione, conosciuti come Brics Plus.

Leon Rozmarin, esperto di affari russi presso la Northeastern University degli Stati Uniti, ha dichiarato: “È meglio mangiare ad entrambi i matrimoni”. Costruendo la cooperazione sia con l’Occidente che con gli stati chiave e le strutture del resto, la Turchia mira a occupare un ruolo unico che non tutti i paesi possono raggiungere”. L’analista ha quindi sottolineato che “la mossa della Turchia è in linea con la sua politica di mantenimento dei legami commerciali con la Russia, anche dopo l’invasione dell’Ucraina nel 2022”.

Altri osservatori hanno espresso però molti dubbi sulla fattibilità dell’adesione ai Brics, data la recente attenzione del blocco alla de-dollarizzazione e agli accordi di Ankara con i paesi della regione per stabilire meccanismi di regolamento delle valute locali. Un’altra scuola di pensiero legge il tentativo di Erdogan come un monito nei confronti della Ue. Lo straconsolidato doppiogiochismo del sultano servirebbe in questo caso a fare pressione sull’Unione Europea con cui la Turchia effettua ancora più della metà del suo scambio commerciale.

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