Che ne abbia fatti di più belli non c’è dubbio alcuno: anzi, nella stessa competizione 8 anni prima aveva firmato IL PIÙ BELLO dei gol in assoluto. Eppure quello che a molti provoca una sorta di sindrome di Stendhal calcistica, a tanti altri una profonda tristezza, è proprio quello di trent’anni fa, il 21 giugno del 1994 alla Grecia: l’ultimo gol di Diego Armando Maradona con la camiseta dell’Argentina. Una camiseta meravigliosa quella che l’albiceleste indossa a Boston per l’esordio a Usa ’94: blu scuro con bande nere sulle spalle, stesso colore di due strisce di piccoli rombi che scendono sul fianco destro. Una meraviglia. La 10 ovviamente è sua, di Diego: non avrebbe dovuto nemmeno esserci lì, al Foxboro. Ha quasi 34 anni e in quelli precedenti non ha fatto vita da atleta né giocato granché a pallone.

Col Siviglia era finita nel ’93, col Newell’s Old Boys gioca solo 5 partite ma ehi, è il mondiale americano, stripes e soprattutto stars. Anche se di stars in terra americana sembrano non essercene granché. Già mancano Francia e Inghilterra, il Brasile non ha grandi nomi tolto Romario che però non è di quelli che ti fanno passare dal baseball al calcio, non c’è Van Basten e neppure Gullit: insomma c’è solo Roby Baggio e il suo Codino, mica poco certo, ma serve una superstar. Serve Maradona. Servirebbe pure all’Argentina per la verità: strapazzata 5 a 0 a Buenos Aires dalla Colombia, finita per un pelo allo spareggio contro l’Australia.

Il problema è che Maradona ha 33 anni e ne compirà 34 a ottobre, 15 chili in più e al netto di un sinistro che in qualsiasi stato e a qualsiasi età avrebbe dipinto meraviglia non è in condizione di giocare dieci minuti di un’amichevole, figuriamoci un Mondiale. Ma è un momento buio, molto, e quella possibilità è per Diego uno spiraglio di luce. Perché Basile, ct dell’Argentina che piuttosto di Maradona avrebbe convocato un brasiliano, deve cedere al sogno popolare che si fa strada, seppur a condizione che Diego sia impeccabile: non lo è negli spareggi soffertissimi contro l’Australia, ma da un suo cross nasce il gol che intanto manda la Seleccion in America.

Per “El MonoBurgos l’Argentina senza Maradona (e Che Guevara, Fangio, Borges ed Evita) è solo pampas, ovvero mucche, campagne e desolazione: nelle pampas va Maradona, assieme al suo preparatore Signorini per rimettersi in sesto. Nella fazenda in campagna non c’è nulla, d’altronde Diego è in una fase in cui qualcosa, qualsiasi cosa oltre silenzio e nulla, potrebbe essere pericolosissimo, come dimostrato a Siviglia e documentato dagli investigatori privati messi alle sue calcagna. Non c’è nulla, neppure cibi diversi da carote, cavoli, cipolle e patate, perché 91 chili su 1 metro e 65 sono un’enormità e gli allenamenti di Signorini sono estenuanti. Però alla fine restituiscono un Maradona sobrio e tirato a lucido, che torna a indossare la camiseta della Seleccion. Dovrebbe andare in tournee in Giappone, ma ha precedenti penali e non può entrare nel paese. Allora si organizzano amichevoli in Argentina o in giro per il Mondo: Marocco, Cile, Ecuador, Israele, Croazia. Diego c’è, cresce, ci crede.

Col Marocco, nella gara del suo ritorno in nazionale, trasmessa in contemporanea dai cinque maggiori canali televisivi argentini, segna un rigore. Col Cile da dietro la linea di centrocampo vede uno spazio incredibile dove si infila Balbo e regala un assist ad Abel. E col passare del tempo Diego guadagna la forma adatta a giocare un Mondiale, ma soprattutto nell’Argentina si nota l’intesa di un reparto avanzato niente male: Batistuta, Balbo e Caniggia formano una sorta di tridente d’attacco, dietro di loro c’è Diego, accanto a lui un 24enne dai lunghi capelli biondi che stupisce per intelligenza tattica e classe, Fernando Redondo. E a coprire le spalle a una squadra superoffensiva, senza disdegnare gli inserimenti, c’è El Cholo Simeone. Funziona. Tanto che Basile sceglie di portarsi un difensore in meno, Dario Franco: la mamma pianta un casino in patria sul fatto che si sia scelto Maradona e non Franco, va da sé che in pochi in Argentina sposino la causa di mamma Franco e non quella di chi vale la diretta contemporanea di cinque canali televisivi.

Di fatto negli Stati Uniti ci va Maradona, scortato costantemente dall’Fbi, forse più per proteggerlo da se stesso che dalle folle, visto che in America il delirio introno al pallone non c’è, neppure per il suo Dio. L’effetto è quello sperato: si parla di Diego in tutto il mondo e a prescindere dal calcio. Argentina-Grecia sarà una delle partite più viste in assoluto infatti, ovviamente per un Maradona completamente diverso rispetto alla sua ultima partita ai mondiali, 4 anni prima, quando in favore di telecamera dava dei figli di p… ai tifosi italiani che fischiavano l’inno argentino. In mezzo c’è una squalifica per droga, un arresto, addii e ritorni: ma qui e ora c’è Argentina-Grecia, la gara d’esordio dell’Albiceleste al Mondiale. La squadra ellenica non è certo un avversario ostico, ma è arrivata in America vincendo il suo girone (certo non irresistibile, contro Russia, Islanda, Ungheria e Lussemburgo) ed è da prendere con le molle.

Non ce n’è per nessuno: dopo due minuti l’Argentina è in vantaggio con Batistuta, e l’intesa lì davanti tra lui, Balbo, Caniggia, Redondo e Diego è meravigliosa. Tacchi (due di seguito quello di Diego e quello di Bati mandano in porta El Cholo, che sbaglia), giocate di fino, virtuosismi: i greci non ci capiscono praticamente nulla e potrebbe essere già goleada alla mezz’ora se Bati non si mangiasse l’immangiabile.Al 45esimo Chamot va di forza e libera il centravanti della Fiorentina che da fuori area tira una sassata sotto l’incrocio e porta l’Argentina sul 2 a 0. Il primo tempo di Maradona è molto positivo: chi si aspettava un ex calciatore scopre di aver sbagliato di grosso. Diego è sempre nel vivo dell’azione, corre, pressa: certo non è il Diego che 4 anni prima “gambeteava” il Brasile, ma per avere 34 anni sta benissimo.

Il momento esatto è al sessantesimo minuto: Balbo porta fuori dall’area di rigore piena di greci intenti solo a evitare la goleada un pallone innocuo, la tocca per Redondo ai trenta metri che a sua volta con un tocco impercettibile la allunga a Diego che di prima la restituisce al centrocampista del Real. A questo punto anche l’iconico telecronista argentino Victor Hugo Morales, quello del barillete cosmico che pure risolse la questione gol del secolo con un geniale “ta-ta-ta-ta-ta-ta”, va in difficoltà per la bellezza e la velocità dell’azione: Redondo ancora una volta di prima serve Caniggia uscito fuori dall’area per riceverla, il figlio del vento la ridà a Redondo che gliela restituisce subito. A quel punto Cani la tocca impercettibilmente, la accomoda dietro di lui per Diego che se la aggiusta, la sposta col sinistro e ripulisce il sette alla destra di Minou. Esplode Morales, esplode Maradona che dalle telecamere di Italia ’90 cui aveva affidato la sua rabbia per i fischi passa a quelle di Boston per una rabbia diversa. È un gol che fa il giro del mondo, che sa di redenzione per Diego e di un possibile, probabile ultimo scampolo glorioso di carriera, e di un’Argentina che spaventa tutti. Qualche minuto dopo Diego lascerà il posto a Burrito Ortega.

Lo riprenderà, il suo posto, nella gara successiva contro la Nigeria che aveva distrutto la Bulgaria di Stoichkov: le SuperEagles vanno in vantaggio con Siasia. Maradona si prende la squadra sulle spalle, viene massacrato di falli e su una punizione conquistata la tocca per Batistuta che tira una bomba non trattenuta dal portiere nigeriano, su cui si avventa Caniggia per l’uno a uno. Ed è sempre Diego a vedere Caniggia scattare solo su un’altra punizione, servendogli la palla del 2 a 1. L’Argentina vince, Diego gioca 90 minuti e alla fine della gara è raggiante quando un’infermiera lo preleva per portarlo all’antidoping. Il resto è storia nota: l’efedrina del farmaco usato per accelerare la preparazione (a sua insaputa) con l’etichetta già scritta sulla provetta, i giochi politici tra federazioni che ne derivano e il sacrificio della vittima perfetta, Maradona stesso. Si dirà che il volto di quell’esultanza non poteva essere naturale, come se l’efedrina (contenuta al sei per cento in quel farmaco) fosse “drogante” e non “dopante”: si dirà di tutto, quasi tutto a sproposito. Lì finisce di fatto il Maradona calciatore, degli effetti che continuare quel mondiale avrebbe avuto sull’uomo, invece, non è dato sapere. Resta quel gol di 30 anni fa: meraviglioso come le speranze un minuto prima di essere tradite. Triste, come Diego che giura al mondo di non essersi drogato: diceva la verità, in campo bugie non ne ha mai dette.

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