Al termine dell’incontro con le aziende e i sindacati convocato dopo la morte del bracciante indiano Satnam Singh a Latina, il ministro Francesco Lollobrigida assicura che il governo si sta adoperando: “Nelle prossime ore potrebbero esserci modifiche su alcuni aspetti del Dl Agricoltura o emendamenti specifici che potranno essere presentati per velocizzare alcuni processi di correzione di rotta in vari ambiti, tra cui il caporalato“. Dopo l’annuncio il ministro dell’Agricoltura ha difeso le imprese: “Una delle cose emersa dalla riunione è che in queste situazioni accade un fatto: la criminalizzazione di uno degli anelli della filiera. Al decesso di un operaio per colpa di un criminale, si criminalizzano le imprese agricole“. “Queste morti – ha ribadito l’esponente di Fratelli d’Italia – dipendono da criminali, non dal sistema delle imprese agricole“.

I dati, però, dicono che almeno una parte del sistema è malato. Nel 2021 – si legge nel “VI Rapporto agromafie e caporalato” dell’Osservatorio Placido Rizzotto, l’ultimo pubblicato e basato su dati Istat – erano circa 230mila gli occupati impiegati irregolarmente nel settore primario (oltre un quarto del totale degli occupati del settore, che secondo gli ultimi dati dell’Istituto nazionale di statistica nel 2022 erano 1.006.975), in larga parte “concentrata nel lavoro dipendente, che include una fetta consistente degli stranieri non residenti impiegati in agricoltura“. Di questi, 55mila sono donne “che si trovano a vivere un triplice sfruttamento: lavorativo, per le condizioni in cui lavorano; retributivo, perché anche tra sfruttati la paga delle donne è inferiore a quella dell’uomo fino al 30%; e, infine, anche sessuale e fisico“. Il problema, inoltre, non riguarda solo il Centro-Sud: “Se è vero che la geografia del lavoro agricolo subordinato non regolare è radicato in Puglia, Sicilia, Campania, Calabria e Lazio con tassi di irregolarità che superano il 40%, in molte regioni del Centro-Nord i tassi di irregolarità degli occupati sono comunque compresi tra il 20 e il 30%“.

Un sistema, quello che emerge dal rapporto, che genera quello che nel linguaggio degli economisti viene definito “lavoro povero“, ambito nel quale “prevalgono individui che, pur avendo lavorato”, hanno “un reddito disponibile familiare equivalente annuo inferiore alla metà del reddito mediano misurato su tutti i residenti (cioè inferiore a 8.300 euro). In questo contesto “poco meno di un terzo dell’occupazione agricola (pari a oltre 300mila unità) ricade in questa area a bassissimo reddito, con un’incidenza che è il triplo di quella media”.

Una “estrema vulnerabilità della parte più fragile dell’occupazione agricola”, come la definisce l’Osservatorio, che è confermata dal numero di procedimenti e inchieste avviate per motivi di sfruttamento lavorativo. Secondo il IV Rapporto Altro Diritto/FLAI CGIL sul contenzioso, tra il 2017 e il 2021 “su un totale di 438 casi ben 212 (oltre il 48%) hanno riguardato il solo settore primario. Ovvero quello agricolo.

La provincia di Latina e l’Agro pontino in generale sono tra le aree d’Italia in cui lo sfruttamento è più evidente e radicato. “Quello di Satman Singh è un caso particolarmente grave per la brutalità con cui si è consumato, ma la cosa non mi sorprende – spiega Marco Omizzolo, sociologo Eurispes, tra i principali esperti di caporalato e sfruttamento lavorativo in Italia e nel pontino in particolare -. Ogni anno in questo territorio si verificano centinaia di casi. Di questo siamo venuti a conoscenza perché è particolarmente grave e perché è stato denunciato, ma nella stragrande maggioranza dei casi gli infortuni non vengono denunciati perché la vittima lavora in nero: il datore di lavoro non ha interesse a farlo mentre il lavoratore spesso è un irregolare, non conosce i propri diritti e ha paura di conseguenze”. Nel pontino si verificano, aggiunge Omizzolo che danni lavora come ricercatore sul territorio, “50-60 incidenti gravi o mortali l’anno tra i braccianti immigrati”.

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