Lavoro precario e mezzi di sostentamento assediati, servizi in calo, infrastrutture fatiscenti, violenza razziale, pandemie mortali e condizioni meteorologiche estreme. E, sopra a tutto, le disfunzioni della politica, che – schiacciata sul presente – blocca la capacità di immaginare e attuare soluzioni alternative. E’ il centro di Capitalismo cannibale, il libro della filosofa e teorica femminista statunitense Nancy Fraser, pubblicato nel 2023 ma di attualità stringente, come si vede leggendo un qualsiasi giornale ogni giorno. Ed è per questo che la facoltà di filosofia dell’Università Vita-Salute San Raffaele nelle scorse settimane ha organizzato un ciclo di lezioni con la in presenza della filosofa. “Capitalismo cannibale” è l’espressione che usa Fraser per definire il sistema sociale che ci ha portato a questo punto. La metafora del cannibale è calzante per l’analisi della società capitalista caratterizzata da una frenesia alimentare istituzionalizzata in cui il piatto principale siamo noi. “La filosofa non nega la spiegazione classica delle distorsioni che caratterizzano il sistema capitalistico – spiega il professor Roberto Mordacci prorettore per le Scienze umane e sociali dell’ateneo milanese, che ha compartecipato al ciclo di lezioni -, ma punta i riflettori sul fatto che esso poggia su elementi non economici che sfrutta per realizzare i propri guadagni, ma al tempo stesso li consuma e finisce per divorare le sue condizioni di possibilità”.
Professor Mordacci, quali sono questi fattori?
Il lavoro di riproduzione sociale, svolto dalle famiglie per generare, sostenere e assistere le persone, che sono poi la forza lavoro utilizzata dal capitale. L’ambiente, che il capitale consuma intensivamente senza rigenerarlo né proteggerlo. Il lavoro, estorto a basso costo e senza diritti a immigrati e strati sociali depauperati, senza i quali i margini di profitto si abbattono. E infine le istituzioni, ossia le garanzie di quell’ordine sociale che permette al mercato di funzionare indisturbato, ma che deve essere sottomesso agli interessi economici. Ebbene, se ciascuno di questi fattori si esaurisce, lo stesso sistema collassa: senza riproduzione sociale, non ci sono né lavoratori né consumatori; senza ambiente, non ci sono risorse; senza lavoro immigrato, i profitti crollano; senza istituzioni, l’economia precipita nel caos.
In che termini il tema della riproduzione sociale rappresenta una contraddizione strutturale dell’economia capitalistica e al tempo stesso un suo elemento vitale?
Per riproduzione sociale si intende il lavoro di generazione, cura e gestione che viene svolto all’interno dei nuclei familiari, quasi sempre dalle donne. Fraser lo definisce “lavoro domiciliato” (domesticated labor): non è un lavoro riconosciuto dal mercato, ma quest’ultimo non può funzionare senza il primo. Oltre allo sfruttamento sul lavoro, dove gli stipendi femminili sono costantemente inferiori a quelli maschili, vi è quello che Fraser chiama il lavoro espropriato della famiglia, che viene estorto senza alcun riconoscimento né sociale, né giuridico, né economico. Non dice ancora in che senso questa attività di cura è un “lavoro”. Lo farà probabilmente nel libro che sta scrivendo e di cui ha presentato le linee essenziali durante le lezioni all’Università San Raffaele. Offro una mia interpretazione: il lavoro non è soltanto qualunque attività produttiva remunerata. Tant’è vero che esistono, purtroppo, lavori non pagati e anche lavori non produttivi (bullshit jobs). Lavoro è, in realtà, ogni relazione in cui gli umani portano una trasformazione e realizzano un valore, a partire dalle relazioni familiari e sociali. In questo senso antropologico e non economico, la “cura” è un lavoro: si tratta dell’umano “mestiere di vivere”, che il capitalismo non vede perché esclude dai suoi calcoli tutto ciò che non è produttivo. Al contempo, però, senza di esso non può reggersi, perché vengono meno le persone e le loro relazioni fondamentali. Fraser usa la metafora dell’Uroboro, il serpente che mangia la sua coda: il capitalismo fa esattamente lo stesso, ma quando ha percorso tutto il suo corpo sociale si blocca e può solo divorare la propria testa.
La crisi del Covid-19, definita da Fraser come una “tempesta perfetta di irrazionalità”, ha rappresentato un emblema di capitalismo cannibale. Perché?
La pandemia da Covid-19 ha messo in luce la completa irrazionalità del sistema, secondo Fraser. La stessa origine del virus, il passaggio dalle specie animali agli umani a causa delle condizioni igieniche pessime dei mercati in Cina è, a suo parere, il segno che il divario fra società dei consumi e società in crescita genera rischi non prevedibili, rispetto ai quali il sistema economico mondiale non ha reti di protezione. Il fatto che il capitalismo sia un sistema globalizzato ha enormemente favorito la diffusione del virus. Infine, la logica della ricerca for profit delle grandi aziende farmaceutiche, pur costrette a rendere disponibili i loro vaccini in tempi rapidi, ha escluso per un certo periodo alcune nazioni dall’accesso alle cure. Fraser non cita un altro esempio: in Europa, siamo stati capaci di spuntare un prezzo favorevole per i vaccini solo alleandoci in un gran numero di paesi, ma questo è proprio ciò che il sistema capitalistico non vuole, ossia che i “consumatori” si alleino in gran numero per ridurre i prezzi e ottenere ciò di cui vi è veramente bisogno al posto di beni soltanto voluttuari. I malati non sono consumatori, sono persone che richiedono cure e ne hanno diritto in qualunque società decente. Il capitalismo non ha, invece, alcuna intenzione di darsi un ruolo sociale e non ha alcuna considerazione per i veri bisogni dei cittadini.
La crisi ecologica pone oggi il sistema capitalistico e l’intera umanità di fronte ad una possibile svolta irreversibile. Perché questa crisi è “epocale” e radicalmente diversa da quelle passate?
L’estensione globale dei sistemi produttivi a intensivo sfruttamento ha generato uno squilibrio radicale dell’ecosistema planetario. Soltanto la pressione dell’opinione pubblica, e quindi dei consumatori critici, e delle leggi illuminate, come quelle dell’Ue sui modi di produzione, hanno indotto le imprese a interiorizzare il tema climatico, facendolo persino diventare un motivo di più elevata competitività. Oggi un’impresa che inquina troppo rischia addirittura di essere boicottata. Tuttavia, questo non basta, perché si vedono già all’opera tutti gli interessi che vogliono far passare la questione climatica per “ideologica”, fomentando il negazionismo climatico e l’attacco contro l’ambientalismo. Significativo è l’episodio di Roma, in cui tre giornalisti che seguivano le iniziative di Ultima generazione (tra i quali una collaboratrice del fattoquotidiano.it, ndr) sono stati fermati e interrogati dalla polizia. La crisi ambientale è fatale per il pericolo attuale che il pianeta collassi e, prima ancora, perché le tensioni sociali prodotte dagli squilibri ecologici, anche fra Nord e Sud del mondo, generano crisi immediate (si pensi all’immigrazione, che ha nel cambiamento climatico una delle sue cause). Fraser individua la crisi ambientale come quella più profonda fra le altre, ma non approfondisce le ragioni per cui i nuovi equilibri mondiali ne costituiscono un fattore di peggioramento, con la ridotta capacità di Europa e Usa di orientare il cambiamento e con Russia e Cina che, anzi, lo osteggiano, in quanto capitalismi di stato basati, rispettivamente, sullo sfruttamento delle materie prime e dei diritti dei lavoratori. Questo probabilmente perché, concentrata sulle contraddizioni del sistema “occidentale”, condivide una certa cecità per quelle dei sistemi “non occidentali”, espressione anch’essi del capitalismo cannibale, perdipiù con un elemento di autoritarismo non contrastato dalle tutele democratiche tipiche dei Paesi occidentali. Possiamo e dobbiamo criticare il cosiddetto occidente per tutto ciò che genera in termini di iniquità, ma le nuove potenze non sono affatto meglio e, anzi rappresentano il volto peggiore – intrinsecamente ingiusto– del capitalismo.