A pochi giorni dalle elezioni presidenziali in Iran – dopo la morte di Ebrahimi Raisi in un incidente aereo il mese scorso – cresce l’appello al boicottaggio. Il 28 giugno gli iraniani sono chiamati alle urne, ma gli attivisti per i diritti civili e due intellettuali premio Nobel per la Pace chiedono al popolo di non recarsi alle urne. “L’unico scopo di tenere elezioni per un regime che crede nella repressione, nel terrore e nella violenza come unico guardiano del potere non è proteggere la democrazia e i diritti delle persone, ma consolidare il potere e la tiranniadice Narges Mohammadi (Nobel 2023) che dal carcere lancia il suo messaggio. E le fanno subito eco altre attiviste che, come lei, hanno pagato per la loro incessante lotta in nome della libertà, tra cui l’altra premio Nobel iraniana Shirin Ebadi (2003).

“Non parteciperò alle elezioni illegali del governo corrotto e illegittimo della Repubblica islamica”. E anche Ebadi, l’avvocata insignita del Nobel per la Pace nel 2003 che adesso vive in esilio a Londra, in una nota punta il dito dritto contro la repressione e la violenza del regime: “Invitano a votare, mentre le tracce del sangue dei nostri cari sono ancora visibili sulle loro armi e sul loro comportamento“, tuona. “Hai bisogno dei nostri voti? Restituisci i nostri figli (che hai ucciso). Restituisci ciascuno degli occhi che hai reso ciechi, anche le vite che hai portato via nelle strade, in aria (abbattimento dell’aereo ucraino da parte delle Guardie Rivoluzionarie) e nelle prigioni. Se non potete restituirli, aprite le porte delle prigioni e liberate tutti i prigionieri politici”, insiste. Intanto, anche la scrittrice e attivista per i diritti umani Golrokh Ebrahimi Iraee in una lettera dal carcere critica i “tentativi dei riformisti di aumentare la partecipazione popolare alle elezioni, attraverso il loro candidato Massoud Pezeshkian”, affermando che “gli iraniani non hanno dimenticato il tradimento dei riformisti, poiché hanno subito lo stesso blocco soffocante durante i governi riformisti degli ultimi anni”. E, ancora, l’attivista Mahboubeh Rezaidal carcere di Evin, scrive: “Se le elezioni avessero il minimo effetto sui governi totalitari e dittatoriali, non garantirebbero il diritto di voto alle persone. Queste elezioni scommetteranno sul cavallo perdente dell’illegittima Repubblica islamica”.

Intanto in una mossa che potrebbe essere interpretata come un ‘segnale’ volto a rassicurare gli elettori indecisi, la Corte suprema dell’Iran ha annullato la condanna a morte che era stata emessa nei confronti del rapper Toomaj Salehi, giudicato colpevole di “corruzione” per i testi delle sue canzoni, in cui sosteneva le proteste contro il regime. Una decisione presentata come frutto di un inevitabile iter giudiziaro-burocratico, ma la cui vicinanza alle data delle elezioni rende particolarmente significativo sul piano politico. L’avvocato del rapper ha fatto sapere che il caso sarà rinviato a un altro tribunale per un riesame, mentre ha comunicato che “la Corte Suprema ha anche annunciato che la precedente condanna a sei anni e tre mesi di carcere di Salehi non era stata legale, a causa dell’esistenza di altre sentenze”. Intanto almeno quattro giornalisti sono stati recentemente arrestati e incarcerati in Iran accusati di aver “diffuso calunnie”. Tra gli arrestati ci sono tre giornalisti che hanno denunciato la corruzione finanziaria e l’appropriazione indebita da parte di alcuni funzionari, in particolare il candidato presidenziale Mohammadbaqer Qalibaf.

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