LATINA – I ragazzi in t-shirt gialla con la scritta “Staff” sciamano dietro al bancone dei cocktail e a quello dei panini, mentre il sole scende dietro alla parrocchia. Questa sera suona “La Banda del Cuore”, tutto come da programma. Sul palco, sull’altro lato del piazzale, un paio di ragazzi con la maglietta rossa del comitato attaccano i jack e provano l’impianto. Nel mezzo, qualcuno sistema le ultime sedie attorno ai tavoli dove si cenerà. Il menù prevede le mezze maniche all’amatriciana. Borgo Santa Maria, strada Macchia Grande, Latina. A pochi passi da qui un macchinario avvolgi-nylon ha tranciato un braccio di Satnam Singh. La festa a Santa Maria della Letizia non si è fermata, neanche dopo la notizia che Navi, come lo chiamavano in mezzo a questi campi tagliati a perpendicolo dalle strade tracciate dalla bonifica, era morto. Oggi sotto il palco di Cgil, sinistra e società civile a piazza della Libertà, a 10 chilometri da qui in città, a qualcuno non va giù.

“Quel poveraccio ha fatto la fine orrenda che ha fatto e la festa è andata avanti – racconta Massimo Bortoletto, che vive nel borgo -. I Lovato (la famiglia proprietaria dell’azienda agricola in cui è avvenuto l’incidente, ndr) stanno a due chilometri, il ragazzo morto e sua moglie abitavano a non più di quattro. Io dico che il parroco avrebbe potuto almeno chiedere di non suonare o, che ne so, per una sera fermarsi a parlare di quello che era successo. Invece niente, sono andati avanti fino a tarda notte. E stasera la festa continua”.

“Guarda, vengo adesso anch’io da piazza della Libertà, sono stata a manifestare – racconta nel piazzale della parrocchia Silvia Pellizzon, presidente del comitato organizzatore della festa -. E’ vero, non ci siamo fermati. Abbiamo scelto un’altra strada, quella della preghiera. La sera che è morto Navi abbiamo chiesto perdono dal palco. Lo ha fatto don Aimar in persona, il parroco. Al microfono, davanti a tutti, ha chiesto perdono a lui, a sua moglie Sony e alle loro famiglie. Noi qui siamo di Azione Cattolica – racconta alzando lo sguardo sui volontari che girano per il piazzale – e per noi le preghiere non sono solo parole, noi crediamo che abbiano un effetto reale sulle nostre vite. Quindi abbiamo fatto quello in cui crediamo, abbiamo pregato”.

Per molti in piazza della Libertà, mentre sul palco si susseguono gli interventi di sindacalisti e politici, non è sufficiente. “La notizia dell’infortunio ha iniziato a circolare il 17 giugno – dice Roberta contando i giorni sulla punta delle dita -, la festa è iniziata il 19, il giorno stesso che Navi è morto. Secondo me dovevano prevedere di fermarsi anche solo dopo la notizia che il ragazzo si era fatto male in quel modo. Non basta che a pochi chilometri da te qualcuno abbia perso un braccio in una delle aziende del tuo territorio? No? Non vuoi annullare la festa? Va bene, ma almeno fermati per una sera dopo che hai saputo che è morto“.

“Questa mattina io e il parroco siamo andati a casa di Sony – prosegue Silvia, seduta a uno dei tavoli nel piazzale, sul quale gli altoparlanti della chiesa riversano la voce del sacerdote che dentro celebra la messa -. Le abbiamo detto che con le nostre preghiere affidiamo la sua anima a Dio. Don Aimar, è iracheno, viene da Mosul (la città martire dell’Isis, ndr). Hai presente, no? E’ uno che il dolore lo conosce”. Qualcun altro, poco prima, in piazza obiettava: “Sia la famiglia Lovato che quella di Navi facevano parte della comunità del borgo, ognuna a suo modo. Una sera di silenzio sarebbe stato un modo di far sentire vicinanza non solo alla moglie del ragazzo, ma anche a quella di Renzo e Antonello (che ha scaricato Navi moribondo davanti a casa sua invece di portarlo in ospedale, ndr), che staranno passando anche loro un inferno, seppur in modo diverso”.

“Non è proprio così – ribatte Silvia -, i Lovato abitano in un’altra frazione, qui ci lavorano e basta. E comunque quella sera, il 19, sono venute alla festa anche alcune famiglie della comunità sikh. Io lo prendo come un gesto di approvazione, come la dimostrazione che la comunità ha compreso la scelta”. Certo che se nemmeno dai cattolici ci si può attendere un momento di riflessione o di silenzio di fronte alla morte, a chi lo si può chiedere? “Eh – sospira Silvia -, se dovessimo fermarci davanti a ogni morte, non dovremmo fare più nulla”.

“Abbiamo sbagliato? – conclude la presidente del comitato – Forse. Ma a cosa sarebbe servito fermarsi? Come Azione Cattolica e cittadini del borgo abbiamo deciso di parlare di quanto accaduto e cercare di arrivare a un livello più alto. Presto organizzeremo un incontro qui in parrocchia con i residenti e inviteremo le istituzioni, tutti i loro rappresentanti saranno i benvenuti. Perché quello che è successo qui è solo la punta dell’iceberg di ciò che accade nelle campagne di tutta Italia. Bisogna parlarne a livello più alto perché qualcosa cominci a cambiare”.

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