Il titolare della cooperativa Agrilovato, Renzo Lovato, padre di Antonello Lovato, l’imprenditore agricolo che ha abbandonato, senza chiamare i soccorsi, il bracciante indiano Satnam Singh davanti casa dopo un incidente sul lavoro nella sua azienda che gli è costato la vita, è indagato da cinque anni per reati connessi al caporalato. Il procedimento giudiziario, un altro rispetto a quello che riguarda la morte del bracciante 31enne, conosciuto come Navi, deceduto in ospedale dopo aver perso il braccio destro, amputato da un macchinario avvolgiplastica, è stato rivelato da Enrico Mentana al TgLa7.

L’uomo, che dopo l’incidente aveva accusato Satnam Singh di aver “commesso una leggerezza che ha fatto male a tutti”, è sospettato dalla procura di Latina di avere sottoposto “i lavoratori, almeno sei, a condizioni di sfruttamento e approfittando del loro stato di bisogno” corrispondendo loro una retribuzione inferiore a quella stabilita dal contratto nazionale. Secondo le accuse, inoltre, Lovato, avrebbe violato la “normativa sull’orario di lavoro, sulla sicurezza e sull’igiene dei luoghi di lavoro” e avrebbe sottoposto i lavoratori “a condizioni di lavoro e a situazioni alloggiative degradanti”. I fatti risalgono al periodo che va da novembre 2019 a maggio 2020: con Renzo Lovato sotto indagine ci sono anche altre due persone, responsabili di una cooperativa agricola.

Intanto ieri, sabato 22 giugno, lavoratori e lavoratrici stranieri, per lo più braccianti indiani, sono scesi in piazza contro il caporalato. Alla manifestazione a Latina, organizzata dalla Cgil di Roma e Lazio, la Flai Cgil di Roma e Lazio, la Camera del Lavoro di Frosinone e Latina e la Flai Cgil di Frosinone e Latina erano presenti anche esponenti sindacali e politici locali, nonché la segretaria del Pd, Elly Schlein e il segretario di Sinistra Italiana e deputato di Alternativa verdi sinistra, Nicola Fratoianni. “Quello che ha fatto il proprietario dell’azienda agricola di Satnam non è giusto. In Italia gli ospedali sono sempre aperti, per tutti. Se fosse stato portato subito lì, oggi sarebbe qui con noi. E invece oggi la sua mamma e i suoi fratelli, a cui mandava i soldi da qui, stanno piangendo in India. Eppure, prima di lui era successo già a tanti altri. Questa volta, però, visto come è stato trattato dal suo datore di lavoro, il governo italiano ha alzato la voce”, ha raccontato Singh Amarjit, lavoratore in un’azienda di bombole di gas in provincia di Latina, descrivendo la condizione di lavoro dei tanti “clandestini arrivati in Italia a piedi o in barca senza documenti”. “Molti di loro sono in nero, ma se messi in regola lavorano meglio, così come dovrebbe essere. È una situazione che si protrae da anni e anni. Chi ha i documenti prende 6 euro, chi è senza 3 o 4 al massimo. Dico sempre loro che se vengono trattati male devono andare subito dalla polizia o dai carabinieri per denunciare tutto. Lavorano 12 o 13 ore al giorno sotto al sole: vivono indietro di vent’anni. Meritano che i loro diritti vengano rispettati”.

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