Si tratta dell’impressione tratta da alcune voci di italiani che lavorano nel settore produttivo o nei cast tecnici di film o serie che si gira(va)no ad Hollywood
Hollywood è in crisi di liquidità e non si girano più film. Colpa del Covid e degli scioperi di sceneggiatori e attori. Un curioso articolo è apparso sulle testate italiane (articolo di cui non v’è traccia in quelle straniere). Si tratta dell’impressione tratta da alcune voci di italiani che lavorano nel settore produttivo o nei cast tecnici di film o serie che si gira(va)no ad Hollywood. Per tre di loro, in sintesi, ad Hollywood non gira più in soldo e si fatica a lavorare. Per primo parla un produttore, Michele Greco: “Ho appena fatto un pilota per Nbc, ma non qui, ad Atlanta. Girare a Hollywood ormai è un salasso: tra le paghe della troupe e gli affitti di materiali, macchinari, location e teatri, un giorno di riprese a Los Angeles costa quasi il doppio che in Georgia. Non conviene a me, ma nemmeno ai grossi Studios che hanno perso una valanga di soldi dopo il Covid e durante lo sciopero”.
Sul sito di Sky viene segnalato che in merito al tax credit (parametro che non ha nulla a che fare con Covid o qualsiasi sciopero ndr) la California offre 330 milioni di dollari all’anno, New York ne mette 700 e la Georgia non ha limite. Insomma, per produrre film o serie statunitensi meglio migrare lontano da Los Angeles o addirittura dagli Stato Uniti, cosa che si fa peraltro da tempo con set spesso in Canada o nell’est europeo.
“Dopo mesi di stanca, ho cominciato una serie prodotta da una major”, ha spiegato la scenografa milanese Susie Mancini. “Mi trovo a lavorare con gente che ha fatto una decina di film da Oscar, che da mesi è senza impiego e deve accettare paghe o mansioni ridotte. Oltre alla mia esperienza personale, sono preoccupata, ovvio, questo dà la misura della crisi in cui siamo”. Greco chiude in maniera più apocalittica: “Gli studios hanno finito i soldi, devono tagliare e tagliare, hanno approfittato dello sciopero per rescindere senza penale alcuni contratti onerosi e chiudere progetti poco remunerativi. Se prima producevano 10 ora producono 5”. Alla base di queste singole preoccupazioni, però, sembra esserci il blocco delle produzioni perché un’altra categoria, quella delle maestranze di set e post produzione, stanno contrattando il sacrosanto rinnovo del loro contratto. Si tratta di 170.000 tra costumisti, scenografi, cameraman, elettricisti, montatori, esperti di effetti speciali o fornitori del catering a cui va rinnovato il contratto nazionale in scadenza il 31 luglio.
E nonostante i toni della contrattazione tra maestranze e produttori non siano altissimi come l’anno scorso per attori e sceneggiatori, è chiaro che in produzione non ci sia finito granchè se non con maestranze extrastatunitensi (canadesi e europee in primis). “Non ho niente in vista fino a gennaio. Non mi succedeva dai tempi della gavetta. Se continua così dovrò trovare un altro lavoro”. Uno dei fattori che tiene l’industria con il freno tirato è l’eventualità che salti la contrattazione in: “Nessuno si azzarda a muovere un dito prima di agosto”, ha concluso Walter Volpatto, torinese, classe 1971, da 20 anni a Hollywood, color correction per Star Wars: Gli ultimi Jedi, Dunkirk, Green Book e, recentemente, in Megalopolis di Coppola. “Non è incredibile che Coppola abbia dovuto auto-produrre il suo lungometraggio e ci abbia messo tre mesi a venderlo a un distributore americano?“, si chiede. Moglie insegnante, due figli e un mutuo, Volpatto è in apprensione: “, riferisce il produttore Michele Greco.