di Domenico Chiarella*

L’approvazione dell’autonomia differenziata da parte del Parlamento italiano mette in luce i limiti di una politica, e dei suoi attori principali, sconnessa da un contesto globale e figlia di interessi locali. Interessi che hanno il solo risultato di creare ulteriori fratture in un contesto che ha invece bisogno di trovare soluzioni che aiutino chi è rimasto indietro a recuperare e superare le attuali crisi geopolitiche.

Entrando nel dettaglio della legge appena approvata, tra le materie in cui le regioni potranno chiedere l’autonomia e quindi legiferare senza confrontarsi con le regioni confinanti, rientrano anche le competenze in termini di ambiente ed energia. Soffermandosi solamente su questi due ambiti, tralasciando l’impatto della legge su aspetti chiave per un paese che voglia ancora dirsi democratico come sanità e scuola, i limiti di applicabilità per decisioni che vogliano avere un senso sono nella declinazione naturale di queste materie.

Parlare di confini territoriali e decisioni ristrette a specifiche porzioni di territorio dimostra una chiara ignoranza su tematiche naturali e geologiche. Ignoranza che sembra dilagare nella nostra società, forse perché conoscere significherebbe porsi delle domande e mettere in discussione scelte quotidiane e stili di vita, e sulle cui cause e strategie per invertire questa tendenza narcotizzante sarebbe bene fermarsi a riflettere. Ciò che chiamiamo natura con i suoi aspetti e risvolti geologici, i rischi naturali e i cambiamenti a cui stiamo contribuendo impattano l’ambiente in cui viviamo, rappresentano il cuore del discorso sul nostro futuro e della speranza di averlo ancora un futuro come specie in un pianeta così come lo conosciamo.

Cercare di regolamentare e porre dei limiti amministrativi a fenomeni naturali che seguono dinamiche di ordine superiore è anacronistico. La natura cambia e reagisce a stimoli esterni dentro e oltre confini da noi stabiliti. La natura, sia come focus principale legato a politiche ambientali che come risorsa per politiche energetiche, non si ferma o segue i confini politici.

Il rischio è che, più di quanto non avvenga già oggi con i limiti nazionali, le giurisdizioni politiche e le strutture organizzative interne alle singole regioni rappresentino ostacoli all’integrazione e al trasferimento della conoscenza e, al tempo stesso, minino il raggiungimento dei loro stessi obiettivi. Conoscenze che riguardano anche l’impatto nell’attuare determinate scelte politiche in una regione senza considerare le ricadute sulle regioni confinanti.

Pensiamo solamente a questioni legate al divieto di pesticidi in una specifica regione, o alla gestione di risorse naturali come l’acqua o il vento, o il monitoraggio del corretto funzionamento dei depuratori, oppure a interventi per la difesa delle coste. Ad esempio, politiche focalizzate rispetto ad un determinato tratto di fiume o di costa, senza una analisi dell’impatto a scala transregionale, potrebbero avere effetti devastanti sulle aree confinanti, con la beffa di vanificare anche quanto fatto in precedenza da un’altra parte. Pensiamo ancora all’impatto provocato dalla costruzione di campi eolici sul crinale di rilievi che rappresentano dei confini regionali senza il coinvolgimento delle vicine regioni che ne subirebbero le ricadute.

I confini, di qualsiasi natura, sono un prodotto dell’uomo e pensare di poter controllare gli effetti di decisioni che coinvolgono la natura sono utopie che hanno senso solo se viste in una ottica diversa. Come sostenuto da Pepe Mujica nel recente libro Sopravvivere al XXI secolo (Ponte alle Grazie), purtroppo ci troviamo in un momento storico e politico in cui la Civiltà non ha alcuna guida politica ma solo interessi di mercato.

La nostra specie è stata capace di evolversi, fino all’attuale devoluzione, perché ha fatto del vivere insieme la sua forza. L’autonomia porta all’isolamento e differenziarsi nell’autonomia significa continuare e seguire logiche del più forte invece che di fraternità, giustizia ed equità.

* Ordinario di Geologia, Royal Holloway, University of London – UK

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