Prima che l’influenza aviaria colpisse allevamenti di bovini da latte negli Usa innescando un’allerta anche nel resto del mondo, il virus H5N1 era stato già rilevato in alcuni mammiferi compresi i gatti. Kristen K. Coleman e Ian G. Bemis, ricercatori presso la Scuola di Salute Pubblica e il Dipartimento di Medicina dell’Università del Maryland, in uno studio pubblicato su MedrXiv che quindi non è stato revisionato, hanno raccolto i dati relativi alle infezioni nei felini dal 2020 a al 2023 e hanno scoperto il tasso complessivo di mortalità è stato stimato al 63%. Analizzando le pubblicazioni gli scienziati hanno stilato un elenco dei sintomi respiratori e neurologici che “spesso hanno causato la morte… Di recente sono state osservate anche cecità e corioretinite”. Ma quello che conta principalmente è “i gatti sono animali da compagnia molto diffuso nell’uomo e quindi rappresentano una potenziale via di diffusione zoonotica dei virus dell’influenza virus dell’influenza aviaria all’uomo”.

I felini contagiati – I ricercatori hanno individuato nella letteratura scientifica inglese circa 486 infezioni da virus dell’influenza aviaria nei felini, tra cui 249 decessi. In totale, 89 di queste infezioni sono state identificate attraverso studi sierologici. Le infezioni tra dieci specie di felini e in sette regioni geografiche del mondo. Tra i paesi ci sono Finlandia, Francia, Polonia, USA, Italia, Perù e Corea del Sud e sono comprese 5 specie (107 gatti domestici, due bobcat, una lince, un caracal e un leone).Gli zoo, i rifugi per animali e gli ambienti rurali, come le fattorie e i terreni privati, sono stati i più comuni.

Secondo Coleman e Bemis sarebbe l’attività predatoria dei gatti a esporli alla letalità della malattia. A entrare in contatto con i i felini sono i topi e gli uccelli da loro cacciati e portatori del virus: “È un buon motivo per i proprietari di animali domestici per tenere i propri gatti dentro casa e lontano dagli uccelli selvatici“, spiegano gli scienziati dell’Università del Maryland. La a maggior parte delle infezioni segnalate nei felini sono derivate dalla trasmissione. “Anche il consumo di piccioni, polli e altri volatili morti, così come di mangime per polli crudo contaminati è stato spesso implicato. Tuttavia, è stato riferito che due gatti domestici di fattoria con colostro e latte crudo di bovini da latte infetti in Texas che dimostra una nuova potenziale via di trasmissione interspecie, da mammifero a mammifero”.

La trasmissione – Un I ricercatori citano alcuni casi di trasmissione da felino a felino: tra gatti e tra tigri. “Il primo studio che ha riportato la trasmissione da felino a uomo ha riguardato un focolaio di H5N1 tra le tigri degli zoo in Thailandia in seguito alla quale due esseri umani hanno mostrato evidenza di sieroconversione. Il secondo studio secondo studio ha riguardato un ampio focolaio di H7N2 tra i gatti domestici di un rifugio per animali a New York in cui sono stati infettati due esseri umani, compreso un veterinario in visita che ha raccolto campioni di gatti infetti e un operatore di un rifugio per animali esposto al gatto infetto”.

I sintomi e i rischi per l’essere umano – Fondamentale controllare i sintomi respiratori e neurologici. “Gli animali malati possono essere in grado di trasmettere il virus dell’influenza alle persone attraverso la saliva, gli escrementi e altri fluidi corporei. Le infezioni umane possono verificarsi quando il virus viene inalato o penetra negli occhi, nel naso o nella bocca di una persona. Ciò può accadere quando il virus è nell’aria (in goccioline o polvere) e una persona lo inala, o quando una persona tocca qualcosa che contiene il virus e poi si tocca la bocca, gli occhi o il naso”, hanno spiegato dai Centers Desease for Control and Prevention.

Sebbene al momento l’ente statunitense ritiene improbabile che possa avvenire la trasmissione del virus dal gatto domestico all’uomo, non è escluso che, se c’è “un’esposizione prolungata e non protetta”, questo si possa verificare: il virus, infatti, ha una alta capacità di evoluzione e di adattamento. Secondo un’affermazione del dottor Robert Redfield, virologo ed ex direttore dei CDC, Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie, servirebbero cinque mutazioni negli amminoacidi del patogeno per renderlo facilmente trasmissibile nell’uomo e dunque pandemico. Il patogeno, infatti, continua a evolversi e a colpire un numero sempre maggiore di specie di mammiferi: oltre ai gatti, anche gatti, volpi, mustelidi, orsi, pinnipedi e, più recentemente, anche bovini, con numerosi casi in decine di allevamenti degli Stati Uniti.

Lo studio MedrXiv

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