Una quindicina di inchieste giudiziarie da cui emerge un modus operandi consolidato. Latina, Italia. La morte di Satnam Singh ha acceso un faro sui metodi di sfruttamento del bracciantato nelle campagne della Penisola a partire dai metodi utilizzati dall’azienda Lovato, dove è avvenuto l’incidente che è costato la vita al 31enne indiano morto il 19 giugno all’ospedale San Camillo di Roma anche a causa di un “copioso sanguinamento“, in base a quanto emerge dai primi risultati dell’autopsia. Secondo cui, se fosse stato tempestivamente soccorso invece che abbandonato davanti casa, probabilmente si sarebbe potuto salvare. Il Corriere racconta che alcuni lavoratori sono stati assunti, fatti lavorare per il numero di giorni necessario per far ottenere loro il sussidio di disoccupazione, quindi licenziati sul piano formale ma tenuti a lavorare a metà dello stipendio e in nero perché l’altra parte viene pagata dall’Inps.

Sabato era emerso che Renzo Lovato, padre di Antonello, il 37enne che ha abbandonato Singh davanti casa dopo aver perso il braccio destro in un incidente sul lavoro nella sua azienda, è indagato da 5 anni per reati di caporalato in un altro procedimento. L’uomo è accusato, in concorso, di avere sottoposto “i lavoratori, almeno sei, a condizioni di sfruttamento e approfittando del loro stato di bisogno” corrispondendo una retribuzione inferiore a quella stabilita dal contratto nazionale. Inoltre, avrebbe violato la “normativa sull’orario di lavoro, sulla sicurezza e sull’igiene dei luoghi di lavoro”. La Procura gli contesta anche di avere sottoposto i lavoratori “a condizioni di lavoro e a situazioni alloggiative degradanti“. I fatti contestati si riferiscono ad un arco temporale che va dal novembre 2019 al maggio 2020. Lovato è indagato assieme ad altre due persone responsabili di una cooperativa agricola.

Secondo La Repubblica, la procura di Latina ha scoperto che nell’azienda Agrilovato “i sikh venivano assunti e sfruttati con l’aiuto di un caporale“, “non esisteva formazione, non c’era vigilanza sanitaria“, “non c’era neanche un bagno o uno spazio dove i braccianti potessero mangiare in condizioni dignitose. L’inchiesta, secondo il quotidiano romano, è terminata 11 mesi fa. “Gli indagati sono tanti, ci sono stati problemi con le notifiche, ma ci siamo quasi”, hanno spiegato gli uffici giudiziari del capoluogo pontino. Con l’ulteriore problema che “nel periodo Covid non è stato semplice operare”. Così nel frattempo i Lovato hanno potuto mandare avanti le attività sia su Sabaudia che su Latina, fino alla tragedia di Satman. Prendendo tra l’altro, secondo Repubblica, 131mila euro di fondi pubblici negli ultimi 8 anni dichiarando di non avere operai a libro paga.

Una piaga, quella dello sfruttamento del lavoro agricolo, che non è certo circoscritta al pontino. A Viterbo, riporta ancora La Repubblica, 140 lavoratori che per anni hanno accettato di andare nei campi in condizioni precarie e sottopagate hanno alzato la testa, sono andati dai sindacati, hanno dato vita a una causa collettiva – che il quotidiano definisce “una sorta di class action” – e hanno ottenuto dai datori il riconoscimento di alcuni diritti. Una storia raccontata negli atti di un procedimento che vede al centro un’azienda agricola locale e che mercoledì 26 sarà in udienza preliminare.

Domani, intanto, a Latina ci sarà la seconda manifestazione di protesta indetta dopo la morte di “Navi”, il nome con cui Satnam era conosciuto nelle campagne di Borgo Santa Maria, la frazione di latina dove abitava e dove è morto. Il raduno, organizzato dall’associazione “Comunità indiana del Lazio“, è previsto alle 14 alle autolinee nuove del capoluogo pontino da dove alle 15 partirà il corteo che raggiungerà piazza della Libertà, dove sabato si è tenuta la manifestazione patrocinata dalla Cgil, e dove si terranno intorno alle 16 gli interventi dei rappresentanti della comunità indiana e dei sindacati Fail Cisl e Uila-Uil.

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