Un altro invio alla Corte costituzionale, dopo quello del gip di Firenze e per cui è stata già celebrata un’udienza davanti alla Consulta. Il giudice per le indagini preliminari di Milano, Sara Cipolla, ha trasmesso gli atti ai giudici affinché valuti la legittimità costituzionale del reato di aiuto al suicidio di cui risponde Marco Cappato per aver accompagnato due persone a morire in una clinica svizzera e per i quali si era autodenunciato nel capoluogo lombardo. I casi riguardano il signor Romano, 82 anni, ex giornalista e pubblicitario, relegato in un letto da una forma grave di Parkinson, e la signora Elena, 69enne veneta malata terminale di cancro che aveva lasciato anche un messaggio video. Per gli episodi la Procura aveva chiesto in via principale l’archiviazione.

La posizione della procura – Lo scorso settembre la procura di Milano aveva chiesto alla giudice l’archiviazione o appunto l’invio degli atti alla Consulta. Per la procuratrice aggiunta, Tiziana Siciliano, e il pm Luca Gagli, Cappato” ha aiutato a suicidarsi due soggetti, entrambi affetti da patologie irreversibili” e destinati a morire “in tempo relativamente breve”. Malattie fonte per loro “di sofferenze psicologiche e fisiche insopportabili“. Entrambi, poi, “erano capaci di intendere e volere”. I suicidi assistiti, inoltre, sono avvenuti “nel rispetto di procedure equivalenti” a quelle della legge sul consenso informato. E i due, scrivono ancora i pm, avevano “rifiutato la prossima sottoposizione a ‘trattamenti di sostegno vitale’ che potevano scientificamente definirsi come espressione di accanimento terapeutico”.

In pratica, l’interpretazione della Procura assimila la sottoposizione a trattamenti di sostegno vitale “al rifiuto di sottoporvisi” se questi sono un accanimento terapeutico.
Secondo i pm, poi, se il giudice per le indagini preliminari dovesse decidere di non accogliere questa interpretazione, contenuta nell’istanza di archiviazione per “infondatezza della notizia di reato”, la “unica strada praticabile rimarrebbe quella di rimettere nuovamente gli atti alla Corte Costituzionale perché si pronunci sul contrasto, rilevante e non manifestamente infondato, tra il requisito ‘sub C’ inteso in senso restrittivo”, ovvero la condizione prevista dalla Consulta del malato attaccato alle macchina per sopravvivere, “e il parametro di cui all’art. 3 Cost.”, ossia il principio di eguaglianza di tutti di fronte alla legge.

Chi erano Elena e Romano Uno era un giornalista “che non si arrendeva all’idea di non essere libero” e il Parkinson a 82 anni lo aveva relegato a letto, l’altra era una donna, malata terminale di cancro, che avrebbe “preferito morire” e con la famiglia accanto. Dopo aver accompagnato Romano ed Elena in Svizzera Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni e candidato alle suppletive per il Senato a Monza, come aveva fatto in passato, si era autodenunciato.

La Procura di Milano, dopo averlo indagato, aveva chiesto l’archiviazione dell’accusa di aiuto al suicidio come del resto era successo in passato per il caso di DjFabo che poi era arrivato fino alla Consulta che aveva emesso la storica sentenza sul fine vita. Non solo Cappato non ha commesso un reato di aiuto al suicidio, “ma anzi” ha consentito “il concreto esercizio del diritto all’autodeterminazione” di due persone che non erano “in grado di esercitarlo autonomamente”.

La nuova disobbedienza – Per Cappato, nel caso di Elena, si era trattato di una nuova disobbedienza civile, dal momento che la persona accompagnata non era “tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale“, quindi non rientrava nei casi previsti dalla sentenza 242\2019 della Corte costituzionale sul caso Cappato\Dj Fabo per l’accesso al suicidio assistito in Italia. La 69enne veneta non dipendeva da dispositivi di trattamento di sostegno vitale, non assumeva farmaci, salvo antibiotici e antidolorifici secondo necessità. Insieme alla famiglia, che comprendeva e rispettava la sua volontà, aveva contattato il Numero Bianco dell’Associazione Luca Coscioni per avere maggiori informazioni. Consapevole di non avere sostegni vitali ha preferito andare in Svizzera senza attendere ulteriormente. “Un’attesa ulteriore, viene sottolineato, avrebbe potuto, infatti, determinare ulteriori sofferenze e peggioramenti vista la progressione della malattia già in fase avanzata”.

L’ordinanza del gip – La “equivalenza – scientificamente sostenuta – tra il rifiuto di un trattamento sanitario vitale in atto e il rifiuto di un trattamento sanitario futile o inutile in quanto espressivo di accanimento terapeutico”, proposta dalla Procura di Milano, è uno dei nodi che la Corte Costituzionale, investita ancora una volta ad esprimersi sul tema del fine vita, dovrà sciogliere come emerge dal provvedimento del gip che chiede ai magistrati della Consulta di “approfondire la nozione di trattamento sanitario vitale”.

È stato ritenuto che “l’ostacolo principale all’applicazione della lettura proposta attiene alla irriducibilità di fondo entro il medesimo piano di due presupposti allo stato giuridicamente differenti” e, data l’inerzia legislativa, fa istanza alla Consulta di esprimersi sull’interpretazione offerta dai pm milanesi. Per tanto non ha accolto la richiesta di archiviazione dell’inchiesta a carico di Cappato, sostenendo che va stabilito “se possa applicarsi ai casi in esame la fattispecie di suicidio medicalmente assistito anche nell’ipotesi in cui il paziente non fosse tenuto in vita da un trattamento sanitario vitale in quanto (…) rifiutato” come “futile o inutile perchè espressivo di accanimento terapeutico secondo la scienza medica; non dignitoso secondo percezione del malato”. Nel provvedimento, inoltre, c’è un passaggio in cui, citando Seneca, si sottolinea che con la pronuncia del 2019 (caso Dj Fabo) “il tema giuridicamente rilevante (…) non attiene al riconoscimento del diritto alla morte ma al diritto ad una vita dignitosa” con riferimento a quella “terminale”, ovvero “ad una morte dignitosa”.

Cappato: “L’aiuto alla morte un diritto” – “L’ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale da parte del Gip di Milano per l’aiuto che ho fornito a Elena e Romano a raggiungere la Svizzera rappresenta un’altra occasione per affermare pienamente il diritto all’aiuto alla morte volontaria, che avevamo già in parte conquistato quattro anni fa, con la sentenza sull’azione di disobbedienza civile per Dj Fabo” dice Marco. Si tratta di una decisione, ha ricordato Cappato, che arriva nella settimana in cui, proprio davanti alla Consulta, si è tenuta un’altra udienza, quella “sul caso di Massimiliano, aiutato con un’azione di disobbedienza civile da Chiara Lalli, Felicetta Maltese e me.”

Secondo il tesoriere dell’associazione Luca Coscioni, “questo nuovo rinvio alla Corte costituzionale è un’occasione per rispondere a una realtà sociale sempre più urgente e pressante da parte di persone che esigono di non dover subire come una tortura condizioni di sofferenza insopportabile e irreversibile contro la propria volontà”.
“La politica ufficiale – ha aggiunto – non vuole rispondere: il Parlamento è rimasto inerte per oltre 5 anni e il Governo si è costituito in giudizio per ottenere la nostra condanna. Le condizioni, diverse nella tipologia di trattamento, ma unite nella sofferenza e nella volontà, di Massimiliano, Laura Santi, Martina Oppelli, Elena Altamira e Romano, e delle altre persone che abbiamo aiutato autodenunciandoci danno ora alla Corte costituzionale la possibilità di chiarire la portata applicativa di un diritto che la Corte stessa aveva già riconosciuto“.

“L’ordinanza di rimessione conferma anche che tutte le eccezioni di inammissibilità sollevate dall’avvocatura dello Stato, a nome del Governo, nell’udienza in Corte costituzionale – ha osservato l’avvocato Filomena Gallo, Segretaria nazionale dell’Associazione Luca Coscioni e coordinatrice del collegio legale di studio e difesa di Marco Cappato – sono destituite di ogni fondamento, dal momento che la rilevanza della questione risulta confermata proprio dalle storie della signora Elena e del signor Romano. Attendiamo ora la decisione dei giudici della Corte costituzionale“.

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