A quasi un anno dal ritrovamento del corpo di Michelle Causo in un carrello del supermercato, è arrivata la richiesta di pena per il 17enne accusato del delitto. La Procura dei minori di Roma ha chiesto 20 anni per il ragazzo di origini cingalesi che il 28 giugno del 2023 uccise a coltellate la coetanea a Primavalle, quartiere del quadrante nord-ovest della Capitale. Il processo si svolge con il rito abbreviato che prevede uno sconto di un terzo della pena, per i minori non è prevista la pena dell’ergastolo considerata contraria ai principi della Costituzione. Quindi l’accusa di fatto ha chiesto il massimo della pena (30 anni) che scende di dieci anni alla luce del rito scelto dall’imputato.
Nei confronti del giovane il reato contestato è di omicidio volontario aggravato dalla premeditazione, dall’occultamento di cadavere e vilipendio. L’imputato ha seguito l’udienza in video collegamento dal carcere di Treviso dove si trova detenuto. Una settimana fa i genitori della vittima hanno denunciato che l’imputato utilizza i social network e in particolare Instagram.
Dopo l’intervento del pm ha preso la parola il difensore che ha chiesto al giudice di escludere la premeditazione, l’assoluzione per l’accusa di vilipendio e riconoscere all’imputato le attenuanti generiche. La sentenza è attesa per il prossimo 17 luglio ma i genitori della giovanissima vittima non hanno nascosto amarezza per la richiesta della Procura. “Gli tolgono dieci anni, è ridicolo. Che messaggio passa ai giovani, che dopo 10 anni sono liberi? La difesa cerca di confutare l’aggravante della premeditazione – hanno detto Gianluca Causo e Daniela Bertoneri lasciando il tribunale -, ma come ha detto in aula la pm, fra i messaggi e le ricerche sul web su come uccidere una persona, gli elementi sono evidenti”.
Nel corso dell’udienza del 29 maggio scorso l’imputato aveva fornito la sua versione affermando di avere aggredito la ragazza con una prima coltellata perché si era sentito offeso da alcune affermazioni fatte da lei. In base ad una perizia psichiatrica disposta dal tribunale l’imputato era, comunque, capace di intendere e di volere al momento del fatto.