La qualificazione agli ottavi al 98’, il bel gol di Zaccagni per l’1-1 contro la Croazia, ispirato da una giocata intelligente di Calafiori: l’Italia campione in carica approda agli ottavi dell’europeo tedesco sottraendosi all’ultimo secondo allo psicodramma di un Paese gonfio di retorica e di nazionalismo sgangherato. Prossima tappa Berlino, sabato, contro la Svizzera, che soffiò agli azzurri il primo posto nel girone di qualificazione mondiale di Qatar 2022, mandando la banda di Roberto Mancini ai playoff contro la Macedonia del Nord: sappiamo tutti com’è andata.
Riecco Berlino, diciotto anni dopo la notte che portò l’Italia di Lippi alla conquista del quarto titolo iridato: inevitabile fare il confronto tra il 2006 e il 2024, tra quelli che eravamo e quelli che siamo, tra l’ultima generazione d’oro del nostro calcio e quella attuale, dove bisogna aggrapparsi al gol di Zaccagni, un panchinaro entrato solo all’81’, per non sprofondare nella tristezza. Donnarumma per il rigore parato, Bastoni per la migliore occasione creata prima del 98’ e per la tenuta complessiva, Calafiori per la personalità – sarà un problema la sua assenza per squalifica contro gli svizzeri – e Zaccagni per la botta all’incrocio che ha fatto saltare milioni di persone, ormai sprofondate nella depressione per una qualificazione da conquistare con la lotteria dei ripescaggi: l’Italia è questa. S’è desta, ma dopo una fatica improba, contro una Croazia a fine ciclo. Orgogliosa, ma sfiatata. Ricca di gloria, ma ormai con il serbatoio vuoto. Il dolore del sublime Modric, 178 presenze in nazionale, molle nel rigore, ma straordinario nella sciabolata del vantaggio, è l’immagine di un gruppo, vicecampione del mondo nel 2018 e terzo in Qatar nel 2022, al capolinea.
La qualificazione agli ottavi è il minimo sindacale per i campioni in carica. L’europeo non è il mondiale, dove devi affrontare Brasile, Argentina, Uruguay e nazioni emergenti. Ritrovarsi tra i primi sedici è doveroso: l’eventuale ripescaggio sarebbe stato una mortificazione. Il calcio è uno sport strano, imprevedibile. Magari a Berlino, in una gara dentro o fuori, vedremo un’Italia ben diversa da quella del girone eliminatorio, ma credere a una metamorfosi, in questo momento, richiede un vero atto di fede. Spalletti non è Bearzot e in questa rosa mancano i campioni di un tempo: ovvietà, ma sono quelle che contano. Per non uscire di strada, quando la qualità è limitata, bisogna ridurre al minimo gli errori, a cominciare dal comandante in capo. Il ct parla di qualificazione meritata e alza subito il tono della voce con i giornalisti, ma le partite contro Spagna e Croazia inchiodano anche lui a responsabilità evidenti: scelte di formazione, il solito nervosismo che non fa bene all’ambiente, una serie di contraddizioni. Ha puntato su Darmian, unico superstite degli azzurri in campo in una gara mondiale: 24 giugno 2014, Natal, Uruguay-Italia 1-0. Ha spedito nella mischia Zaccagni, uno dal gol facile, solo all’81’, per disperazione. Il dilemma Scamacca-Retegui, che Spalletti si porta dietro da Coverciano. L’insistenza nel proporre Jorginho, lontano dai livelli del 2021.
Il resto è vox populi: qualità complessiva modesta, mancanza di talento, Serie A dove si gioca soprattutto palla all’indietro, sofferenza quando gli avversari alzano il ritmo, difficoltà titanica nel segnare. E poi il contesto: indebitamento colossale, strutture fatiscenti, tempi biblici per costruire gli stadi. Le vicende di Roma, Milan e Inter sono una barzelletta. Un settore in sofferenza totale da un decennio, con l’exploit inatteso dell’europeo precedente. L’Italia è questa, non solo nel calcio. Retorica e nazionalismo vanno bene per la propaganda, ma per vincere le partite, soprattutto nei grandi tornei, servono gol e giocatori di livello internazionale. Parola alla Svizzera, ora. Una volta, nel calcio la guardavamo dall’alto in basso. Oggi, la temiamo.