Fratelli d’Italia inizia la sua battaglia contro il ballottaggio. Ad avviarla non è un esponente qualsiasi del partito ma la seconda carica dello Stato che, con un comunicato pubblicato sul sito della presidenza del Senato, si scaglia contro il doppio turno. Ignazio La Russa premette di non volere entrare nel merito del voto o di “chi ha vinto e di chi ha perso” ma punta il dito contro il ballottaggio: “Il doppio turno non è salvifico e anzi incrementa l’astensione“. Ricordando che l’affluenza nei comuni al voto è passata dal 62,83% del primo turno al 47,71%, La Russa contesta l’attuale sistema elettorale definendolo “inaccettabile” e ricorda che “in qualche caso, si viene eletti con solo il 20% dei voti degli aventi diritto. A volte, viene addirittura eletto chi ha meno voti assoluti di quanti ne ha avuti l’avversario al primo turno“. Il riferimento pare evidente: a Cremona il centrosinistra ribalta il risultato di due settimane prima eleggendo il sindaco Andrea Virgilio con 13.013 voti, contro i 12.821 del candidato del centrodestra (che però, al primo turno, ne aveva ottenuti 13.886). Lo stesso è accaduto a Campobasso con Marialuisa Forte che diventa prima cittadina con 10.510, 399 in più del candidato della destra Aldo De Benedittis che due settimane prima ne aveva incassati ben 12.874.

La proposta di La Russa – Così Ignazio La Russa, con “carta intestata” del Senato, propone di “ripensare a una legge elettorale per le amministrative”. E cita “l’esempio del doppio turno siciliano o inserendo idonei correttivi per evitare storture come queste e incrementare la partecipazione”. Immediatamente le sue frasi vengono sostenute da altri esponenti di Fdi come il responsabile organizzazione del partito, Giovanni Donzelli. Rilancia anche la Lega con il deputato Nino Minardo, mentre il senatore di Forza Italia Maurizio Gasparri dichiara che “è legittimo discutere sul tema”. Dalle opposizioni arriva un coro di critiche: “Non è che quando si perde si aboliscono le elezioni e si scappa col pallone in mano, non funziona così”, sottolinea la segretaria del Pd Elly Schlein. “Il 40% non è maggioranza. Questa destra se ne frega di maggioranze, democrazia e regole”, aggiunge il capogruppo in Senato di Alleanza Verdi-Sinistra Peppe De Cristofaro.

Il sistema elettorale in Sicilia – Ma cosa prevede la legge elettorale siciliana, citata da Gasparri, e davvero questa è immune da “storture”? Nell’estate del 2016 l’Assemblea regionale siciliana – in pieno boom del Movimento 5 stelle sull’isola – ha approvato una nuova legge elettorale per le amministrative. Per essere eletto al primo turno al candidato sindaco – nelle città con più di 15mila abitanti – non serve più superare il 50% +1 dei voti validi: basta ottenere più del 40%. In Sicilia, infatti, i sindaci possono essere eletti da una minoranza dei votanti: appena quattro cittadini su dieci che si sono recati alle urne e, ovviamente, indipendentemente dall’affluenza. Una legge che da più parti (M5s in primis) è stata contestata e definita “truffa“, ma che dal 2017 regolamenta le elezioni sull’isola. Ed è la stessa che il presidente del Senato vorrebbe replicare su scala nazionale.

Sindaco con 4 votanti su 10 – Con questa nuova soglia si è già votato 106 volte nei comuni dell’isola e per 21 volte i sindaci sono stati eletti al primo turno con percentuali che vanno dal 40 a meno del 50%. Un esempio recente è quello del Comune di Castelvetrano che il 9 giugno scorso ha eletto sindaco il candidato del centrodestra Giovanni Lentini con 6.281 voti, pari al 40,92%. Quindi, anche se 6 votanti su 10 non lo hanno votato, è lui il neo sindaco della città nota per avere dato i natali al boss Matteo Messina Denaro. E considerando che l’affluenza è stata 58,2%, il nuovo primo cittadino è stato eletto da meno del 23% degli aventi diritto. Ma gli esempi sono tanti, come il caso del Comune di Gravina di Catania dove nel 2018 l’esponente di Fdi, Massimiliano Giammusso, è stato eletto al primo turno con il 45,5% delle preferenze, mentre – con 235 voti in meno – l’avversaria Santina Porto aveva ottenuto il 43,7%. C’era anche il candidato del M5s Stefano Longhitano che si era fermato al 10,7%.

I risultati ribaltati – E ci sono altri casi in cui la legge elettorale siciliana presenta delle “storture”. In questi 8 anni per 43 volte i candidati non hanno superato il 40% al primo turno ed è stato necessario andare al ballottaggio: e per 17 volte il risultato è stato ribaltato. Non solo: un caso eclatante è quello delle elezioni a Sciacca, nell’Agrigentino, del 2022. Qui il candidato Ignazio Messina risulta eletto al primo turno superando di pochissimo la soglia del 40%. Ma poi si scopre che c’era un errore di 38 voti e così, Messina non supera la soglia per soli 18 preferenze: con 8.697 suffragi arriva al 39,99% ed è costretto ad andare al ballottaggio con il candidato del centrosinistra Fabio Termine che al primo turno si era fermato a quasi 700 voti in meno. Ma 15 giorni dopo tutto si stravolge: Termine diventa sindaco con 10.014 voti mentre Messina, primo cittadino per poche ore, si attesta a 8.728. Simile il caso delle elezioni a Caltanissetta nel 2019. Qui il candidato del centrodestra sfiora la vittoria al primo turno con 37,4% dei voti ma perde al ballottaggio, con quasi 4mila voti di distacco, contro il candidato del Movimento 5 stelle (che aveva ottenuto il 19,9%).

La stessa “stortura” anche in Sicilia – Lo stesso vale per “l’inaccettabile stortura” evidenziata da Ignazio La Russa: con il sistema elettorale in vigore negli altri comuni italiani, sottolinea il presidente della Camera, “a volte, viene addirittura eletto chi ha meno voti assoluti di quanti ne ha avuti l’avversario al primo turno”. E in Sicilia? Anche, il sistema elettorale dell’isola non è immune da questa circostanza. Ad esempio alle elezioni comunali di Siracusa nel 2018 il candidato del centrodestra Ezechia Paolo Reale incassa 20.087 voti al primo turno e si ferma al 37,1%, anche lui a poca distanza dall’elezione al primo turno. Al ballottaggio sfida Francesco Italia, del centrosinistra, che ha ottenuto poco più di metà dei suoi voti, pari al 19,6%. Il secondo turno però consegna Siracusa nella mani di Italia che conquista il 53% con 18.210 voti. E sono quasi 1.800 in meno di quelli ottenuti dal candidato del centrodestra al primo turno. Pertanto ogni sistema ha le sue “storture”.

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