A Euro 2024 non si fa altro che parlare di aura. Soprattutto sui social. Letteralmente, si intende quel “sottile campo di radiazione luminosa, invisibile alla normale percezione, che circonderebbe e animerebbe tutti gli esseri viventi come una sorta di bozzolo o alone, capace di riflettere l’anima dell’individuo cui tale aura appartiene, e di sopravvivere al decadimento della sua vita biologica”. Insomma, vivere nell’eternità dello spazio e del tempo. Ma allora, cosa c’entra con il calcio? E perché se ne abusa? Semplicemente, perché si è alla continua ricerca di qualcosa che non c’è più. E da semplice meme e trend, il rischio è quello di sprofondare in una noiosa retorica. Tutto si riassume in una parola: il concetto di favola è stato ribaltato in una narrativa dove l’aura è emozione. O suggestione.
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Aura sinonimo di iconico: perché se ne abusa
Trasmettere grinta e potenza. Ricordando i più grandi della storia. Aura, oggi, è così inteso: giocatori generazionali che hanno cambiato la storia del calcio (e dello sport). Esultanze, immagini e istantanee che rimangono impresse nel tempo. Come avvolte dalla magia di un momento che non passa mai (la radiazione luminosa, appunto). Aura è Ronaldinho con la maglia del Brasile, Messi che alza la coppa del Mondo in Qatar con la maglia dell’Argentina, Zidane che parte in contropiede dopo una veronica. Giocatori iconici e intoccabili. Scatti che raccontano più di quello che viene raffigurato, accerchiati da una magia che solo chi ha vissuto il momento può cercare di spiegare.
Ora, si rischia di cadere nel ridicolo per l’eccessivo utilizzo. Qualsiasi cosa sta diventando aura: una semplice parola buttata dentro in ogni discorso, con il rischio di trasformarsi nel criterio di paragone e di valutazione della forza di un calciatore. Soprattutto ironicamente. Il social è esasperazione di un concetto e aura ne è l’ennesima conferma. In un mondo in cui Jude Bellingham è aura e dove Cole Palmer è zero aura, per la sua posa da giovane impacciato nello shooting fotografico dell’Inghilterra. Cristiano Ronaldo inquadrato mentre canta l’inno del Portogallo è aura all’ennesima potenza.
X impazzisce per Calafiori
Il caso limite è quello di Riccardo Calafiori. Il protagonista più discusso della nazionale italiana, dentro e fuori dal campo soprattutto su X. Per movenze, pose e capelli – non tanto per la qualità calcistica, comunque ottima – Calafiori sprigiona la sua “aura potentissima” che ricorda i difensori più iconici della nazionale come Maldini, Nesta e Cannavaro: è un tornare indietro nel tempo in un senso quasi romantico. E poi tutto diventa un effetto a catena: qualsiasi cosa che fa Calafiori adesso è aura. Che sia di bell’aspetto, è una conseguenza che sui social amplifica ancora di più la sua figura ma che non ha nulla a che vedere con il vero e proprio concetto di aura.
Hair vibes are immaculate ????♂️????????#EURO2024 | @Azzurri pic.twitter.com/9m0cGd4noU
— Lega Serie A (@SerieA) June 16, 2024
L’aura in Dragonball
“Ha un’aura potentissima“. Quante volte è capitato di sentire questa frase davanti al televisore – in un qualsiasi episodio di Dragonball – senza mai conoscerne realmente il significato. Nel Buddismo Zen è una pratica per il risveglio del senso spirituale. Nel celebre manga, invece, il creatore Akira Toriyama aveva collegato l’aura (o meglio, il Ki) a un tipo di energia interna che può essere rilasciata da un individuo in diverse forme. Cultura e calcio che vanno di pari passo, in un’epoca in cui il vintage è la nuova modernità e dove tutti cercano il bizzarro e il particolare per distorcere la realtà.
Però la vera aura non è per tutti. Nella storia dello sport, in particolare, è davvero per pochi. Come tutte le mode anche questa passerà. E per il bene del calcio, si spera il prima possibile. Nonostante tutto non si può scappare dalla realtà: aura è cultura pop.