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Tentato golpe in Bolivia, l’esercito irrompe nel palazzo del governo. Poi i militari mollano il generale leader del blitz e smobilitano

Sono state ore di massima tensione in Bolivia. Truppe armate dell’esercito al comando dell’ex comandante in capo, Juan José Zuñiga, hanno fatto irruzione nel pomeriggio di mercoledì nel palazzo di governo della capitale La Paz mentre il presidente Luis Arce era riunito con l’intero gabinetto. Un tentativo di colpo di Stato condotto da un centinaio di soldati armati e terminato dopo poche ore, quando Arce ha nominato i nuovi vertici delle forze armate e il nuovo comandante dell’esercito, il generale Jose Wilson Sanchez Velasquez, ha ordinato a tutti i militari che si trovavano nelle strade del Paese a fare immediato ritorno nelle caserme. Con una breve dichiarazione immediatamente dopo il giuramento il generale ha chiesto al generale Zuñiga di desistere dal tentativo di golpe ed “evitare lo spargimento di sangue” dei soldati. Zuñiga era stato destituito proprio ieri dopo che aveva minacciato pubblicamente l’ex presidente Evo Morales (che fa parte dello stesso movimento politico di Arce, di sinistra).

E alla fine i militari dispiegati in piazza Murillo, dove si affacciano i principali palazzi della democrazia boliviana come la sede del governo e il Parlamento, hanno iniziato a smobilitare. “Salutiamo i militari che portano l’uniforme con orgoglio” diversi da quelli “che ripetono la storia cercando di fare un colpo di stato quando il popolo boliviano è sempre stato democratico”, ha affermato il presidente boliviano, Arce, presidente da quasi 4 anni. E alla fine anche il generale Zuniga ha lasciato la piazza dopo che ha visto allontanarsi la gran parte di truppe che avevano partecipato al tentativo di golpe. La gente, che nel primo pomeriggio era stata allontanata con lacrimogeni e spari, si è riappropriata della piazza e ha iniziato a cantare l’inno nazionale.

Il richiamo alla cittadinanza era stato lanciato proprio da Arce nelle ore scorse, un appello a “difendere la democrazia”. L’allarme era arrivato al livello di guardia quando la trasmissione dal vivo dell’emittente Telesur aveva mostrato le truppe al comando di Zuñiga fare irruzione nell’edificio dell’esecutivo con un blindato militare forzando il portone principale del palazzo e lo stesso ex capo dell’esercito entrare all’interno dell’edificio accompagnato da soldati armati e con il volto coperto. L’ex comandante dell’esercito aveva annunciato che di lì a poco sarebbe stato nominato un nuovo governo perché “il Paese non può andare avanti così”. Parallelamente aveva dichiarato che le forze militari nel Paese hanno iniziato a liberare i detenuti politici, affermando che sarà “ristabilita la democrazia”. Tra coloro che avevano incitato la popolazione a scendere in piazza in difesa dell’ordine costituzionale anche lo storico ex presidente boliviano Evo Morales, che ha guidato il Paese dal 2006 al 2019. Morales tra le altre cose aveva sottolineato che tutto fa pensare che “il colpo di Stato è stato preparato in anticipo”.

A condannare il tentativo di colpo di Stato sono stati subito l’Unione europea con l’Alto rappresentante Ue Josep Borrell che ha “condannato qualsiasi tentativo di sconvolgere l’ordine costituzionale e di rovesciare i governi democraticamente eletti” e in particolare la Spagna con il premier Pedro Sànchez che ha “inviato al governo di Bolivia e al suo popolo appoggio e solidarietà”. Anche Cuba ha condannato il “tentato golpe” tramite il presidente dell’isola, Miguel Díaz-Canel. La Farnesina si è limitata ad annotare che “con l’Unità di Crisi e l’Ambasciata d’Italia in Bolivia sta monitorando la situazione a La Paz” e che il ministro degli Esteri Antonio Tajani “ne segue l’evoluzione”. Sono state necessarie diverse ore per una dichiarazione delle autorità degli Stati Uniti d’America: la Casa Bianca segue gli sviluppi in Bolivia e lancia un appello alla calma, ha affermato gelido un funzionario americano.

I rapporti tra La Paz e Washington sono complicati da tempo. Proprio ieri il ministero degli Esteri della Bolivia aveva convocato l’incaricata d’affari degli Stati Uniti, Debra Hevia, per manifestare preoccupazione per una serie di dichiarazioni e azioni del personale dell’ambasciata americana a La Paz “considerate interferenze negli affari interni“. In un comunicato, il ministero ha sostenuto che “lo stato plurinazionale della Bolivia promuove una politica estera basata sui principi di uguaglianza, non ingerenza e rispetto della sovranità, nel quadro delle norme del diritto internazionale che regolano le relazioni diplomatiche. In questo senso respinge qualsiasi tipo di azione che promuova l’ingerenza nel nostro paese”.

La convocazione dell’incaricata d’affari, scrive il quotidiano La Razòn, “è giunta dieci giorni dopo che l’ambasciata americana ha respinto le dichiarazioni del ministro dell’Economia, Marcelo Montenegro, in cui si accusava la rappresentanza diplomatica statunitense di elaborazione di un piano di ‘colpo di stato morbido'”. La Bolivia e gli Stati Uniti non intrattengono relazioni diplomatiche a livello di ambasciatori dal settembre 2008, quando l’allora presidente Morales espulse l’ambasciatore americano Philip Goldberg, accusato di intromissione negli affari interni del paese, suscitando una simile decisione da parte di Washington nei confronti dell’ambasciatore boliviano Gustavo Guzman.