“La pace latita sia negli studi televisivi, dove si costruiscono parterre senza la voce dei pacifisti, che sui giornali. C’è bisogno di dare più voce alla pace, abbassando i toni d’odio, invitando i pacifisti in televisione, aprendo rubriche che interpellino la voce dei peacemaker, facendo ciò che da sempre i giornalisti fanno: raccontare la complessità della realtà, con rispetto e responsabilità. Al pari di quella bellica, dobbiamo evitare un’escalation mediatica”. Sono passati più di due anni da questo appello, lanciato nel marzo 2022, all’alba del conflitto in Ucraina, dove si denunciava il pericolo, “in piena contraddizione con l’articolo 21 della Costituzione” di “cedere alla facile tentazione di censurare qualsiasi opinione diversa” e “cadere nelle stesse trappole antidemocratiche che hanno portato la Russia di Putin all’inaccettabile gesto di invasione”. Ma ancora oggi è “urgente un riequilibrio” in tv e nei media. A rivendicarlo i promotori della tavola rotonda “No peace No panel: una proposta per il servizio pubblico sui media e racconto della guerra”, organizzato alla sala capitolare del Senato, denunciando la mancanza di un’adeguata rappresentazione del pacifismo nell’informazione pubblica.
No peace No panel è una ‘proposta giornalistica’ per garantire il contraddittorio anche in tempo di guerra”, ha rivendicato Max Brod, giornalista Rai e coordinatore della campagna, sottolineando come ancora oggi nel dibattito pubblico, animato quotidianamente dal tema della guerra (non più solo quella Ucraina, ma anche quella in Medio Oriente), sia assente o quasi la voce dei rappresentanti dei movimenti nonviolenti: “Le associazioni pacifiste non compaiono quasi mai tra gli ospiti dei talk televisivi, l’analisi degli scenari è affidata quasi sempre alla voce unica degli analisti geopolitici, se non direttamente a militari ed ex militari. Diventa difficilissimo immaginare percorsi di pace, sviluppare un dibattito che informi i cittadini sulle alternative al bellicismo, stimolare la politica e la diplomazia a costruire quei tavoli necessari a far cessare i conflitti senza ulteriore spargimento di sangue”.
Presente alla tavola rotonda anche la presidente della commissione di vigilanza Rai Barbara Floridia: “Mi farò promotrice di un atto di indirizzo della commissione di Vigilanza affinché la campagna ‘No peace No panel’ venga recepita dalla Rai, nel pieno rispetto delle sensibilità di ciascun commissario”. E ancora: “Io stessa pur rappresentando una istituzione come la commissione. faccio parte di una parte politica che sente fortemente il tema della pace e sente la mancanza di pluralismo nel servizio pubblico su questo tema. Chi è contrario a una economia di guerra e favorevole a una sintassi di pace deve avere voce al fine di trovare soluzioni ai conflitti diverse da quello militare”, ha sottolineato l’esponente M5s, raccogliendo l’appello del presidente Fnsi, Vittorio Di Trapani, affinché il Cda Rai “faccia suo l’appello di No Peace no Panel”.
“Sempre di più ci stanno chiedendo di essere parte della guerra. Non possiamo accettare questa impostazione. I giornalisti non possono stare da nessuna parte. Se devo sceglierne una, sto dalla parte delle vittime, tutte le vittime”, ha aggiunto Di Trapani. Ricordando come oltre 150 giornalisti siano stati uccisi a Gaza: “Sottolineo uccisi perché il cambiamento del linguaggio è anche questo. Non capisco perché da una parte si parli di persone uccise e dall’altra di persone che muoiono. Vale la pena oggi rilanciare un appello della Fnsi e della Federazione Internazionale al ‘Cessate il fuoco’.
Secondo il presidente Fnsi “la Rai dovrebbe produrre un report sul pluralismo sociale: non si può raccontare la guerra solo con il linguaggio bellicista. Ben venga l’atto di indirizzo della Vigilanza per indurre la Rai a una decisione, ma nulla vieta a questo Cda, che è ancora in carica, di esprimersi nella prossima riunione sull’appello “No peace, no Panel”.
All’evento sono intervenuti anche il coordinatore campagne della Rete Italiana Pace e Disarmo Francesco Vignarca e giornalisti come Matteo Pucciarelli (La Repubblica, autore di “Guerra alla guerra”) e la storica inviata Rai Lucia Goracci. Oltre al presidente dell’Ordine dei giornalisti, Carlo Bartoli: “Ridurre la guerra a un videogioco è diseducativo. L’informazione non deve educare, ma neanche diseducare. Deve rappresentare nella sua profondità questi drammi”.
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