Libri e Arte

Party all’obitorio, arriva in libreria il “libro che vincerà lo Strega o qualche altro liquore”

Torna in libreria l’umorismo ai confini della realtà (quasi sempre largamente superati) di Maurizio Milani.

di F. Q.
Party all’obitorio, arriva in libreria il “libro che vincerà lo Strega o qualche altro liquore”

È un Milani in gran forma, quello di Party all’obitorio, la sua nuova fatica editoriale in libreria dal 26 giugno per Aliberti editore. “Il libro che vincerà lo Strega o qualche altro liquore”, recita la copertina. Se accadesse, si può star certi che l’autore festeggerebbe a dovere: mettendo uno spumante nella bara, per continuare a brindare anche nell’ultimo viaggio, come suggerisce ai lettori in una frase-manifesto del libro. Che a Milani fosse congeniale l’humour nero si sapeva. Ma da dove spunta, adesso, questa ispirazione così decisamente “sepolcrale”? “C’è da dire una cosa”, ha spiegato il cabarettista-scrittore che è stato una delle colonne portanti della fortunata stagione di Zelig. “Lo stipendio dei custodi dei cimiteri non è stato adeguato perché i sindacati non vedono di buon occhio gli obitoristi. Non si sa perché, lo fanno apposta a non rinnovare i contratti di lavoro, che sono fermi dal ‘74 e sono parificati agli altri custodi, anche della banca bioetica”.

In realtà l’intento di Milani in questo libro è decisamente serio e anche ambizioso: raccontare della morte in modo divertente, come se fosse un inno alla vita. “Il funerale dell’Ulisse di Joyce”, spiega Milani, “è il 18 giugno, il Bloom Day. In Irlanda si festeggia nei pub. E nel mio libro c’è un capitolo sul funerale di James Joyce… È che il funerale fa sempre ridere, in realtà, ed è una cosa molto imbarazzante: non sai cosa dire, ridere non puoi ridere, a meno che il defunto non abbia lasciato detto “ridete come matti”, col rischio che si offendano i parenti”.

In anteprima esclusiva per il Fatto Quotidiano anticipiamo un estratto tratto dall’intervista-prefazione di Francesco Aliberti a Maurizio Milani.

Carlo, perché un party all’obitorio?

Mi aveva colpito molto un articolo del «Corriere della Sera», di non molto tempo fa, su Evita Perón, la santa laica dell’Argentina, la moglie di Perón. Pare fosse stata sepolta al cimitero maggiore di Milano sotto falso nome e lì riposò per undici anni. La scoperta avvenne intervistando l’autista delle pompe funebri che ebbe l’incarico di trasportare la salma. Perón era andato in disgrazia, e i fedeli peronisti avevano nascosto la salma di Evita per evitare il pellegrinaggio dei seguaci. I peronisti si misero d’accordo con i fedeli di Perón, con il Vaticano, per portarla in Italia e praticamente – ficcata in un sacco – la portarono al cimitero maggiore di Milano. Numero della fossa, anche il numero del campo, tutto sotto falso nome.

Quando Gualtieri andò al governo, che è un altro dittatore filo peronista – adesso ti racconto la storia perché poi la battuta è alla fine – rivolevano indietro la salma e gli esumatori rimasero esterrefatti quando tirarono su questa donna: era intatta, in quanto era stata imbalsamata. Sulla tomba c’era il nome di Elena Galli. Ma gli esumatori sapevano, in Argentina è tradizione imbalsamare le persone.

Per fartela breve, Evita Perón, che è rimasta undici anni al cimitero maggiore di Milano, dove io vado spesso perché ho i parenti, venne trasportata – dopo ti mando il link dell’articolo – in Spagna, dove c’era ancora Franco, Francisco Franco. E qui c’è la storia di questo autista di Pompe Funebri, mio zio, che ebbe l’incarico di portare Evita Perón (la battuta è questa).

Era tuo zio.

Il fratello di mio papà, la storia è tutta vera.

C’è un dato familiare, infatti qua il protagonista tu lo immagini il custode dell’obitorio.

Sì, custode dell’obitorio. In famiglia abbiamo avuto anche diverse persone sotto falso nome che in realtà erano dei grandi dittatori, dei grandi politici, statisti. Lo stesso Mussolini, tu sai che fu sepolto sotto falso nome, sempre al cimitero del Musocco a Milano, e la salma venne trafugata da un certo Leccisi. Di notte si inoltrò nel cimitero, pensa un po’ – il cimitero di Milano è immenso, una roba di cento ettari. Praticamente riesumò la salma e la portò via. I fascisti in segno di gratitudine lo fecero senatore del Movimento sociale dopo la Costituente. Dopodiché ci fu una trattativa con De Gasperi e la salma venne data alla famiglia di Rachele Mussolini. La salma è tuttora a Predappio, il suo paese natale. Sai che ci sono i pellegrinaggi…

Come no, certo.

Però lui, dopo l’autopsia, dopo Piazzale Loreto, è stato inumato per i pellegrinaggi di quelli della Repubblica Sociale, al Musocco. Pensa, anche lui come Evita Perón, trent’anni prima chiaramente, nel ’45, e sotto falso nome.

Questo qua venne a sapere, questo, diciamo, irredento, questo fascista non redento, dove si trovava. La salma era stata deposta in una buca normalissima sotto il nome di Antonio Bianchi. Bisognava sapere anche dove andare a scavare e lui era al corrente di tutto e lo fece, di notte, con altri complici. Ci sono le ricostruzioni in bianco e nero del 1956 pubblicate su «Oggi».

Quella storia fece molto scalpore, io non so se tu hai parenti anziani, gli zii che hanno, diciamo, un’ottantina d’anni, quella roba lì. Il trafugamento della salma di Benito Mussolini fece scalpore come adesso potrebbe essere, cioè, non dico Falcone e Borsellino, ma fu una roba di cui parlavano tutti i giornali. Allora non era come adesso, c’erano «Oggi», «Gente», c’era la radio, non c’era la tv. A me è sempre piaciuto dedicarmi, sai, a roba esasperata alla Quentin Tarantino, che diventa come un cartone animato. A me il pulp, i cannibali del ’92, Ammaniti, quel genere lì, è sempre piaciuto convertirlo in comico, mi affascinava.

Hai scelto di raccontare della morte, ma in modo divertente, come se fosse un inno alla vita.

Certo. Il funerale dell’Ulisse di Joyce è il 18 giugno, il Bloom Day. In Irlanda si festeggia nei pub. C’è un capitolo sul funerale di James Joyce… Il funerale fa sempre ridere, io mi ricordo anche di libretti come “cento cose da non fare a un funerale”. Andare a un funerale è molto imbarazzante, perché cosa dici, non sai cosa dire, ridere non puoi ridere, a meno che il defunto non abbia lasciato detto “ridete come matti”, col rischio che si offendano i parenti. Non è semplice, se io – che sono deficiente – nelle mie volontà lascio scritto qualcosa come «ridete, scherzate e buttate per terra la mia salma», e dopo i miei parenti dicono: «No, cosa fate!», e gli altri: «No, ma lui aveva detto di fare così», «Sì ma se lui era lo scemo, non è che buttiamo la salma nel Po, perché lui aveva detto di buttare la salma nel Po. Noi come parenti ci opponiamo, no, non potete offendere, facciamo ricorso, anche se le volontà erano queste, sono volontà di reato, non puoi dire che butti la salma nel Lambro».

Fra tutti i racconti, qual è quello che ti sei divertito di più a scrivere?

Il racconto che più mi ha divertito, che ho scritto dopo aver mandato tutto il plico da trascrivere, è questo: l’obitorio di Milano è gemellato con Bora Bora, l’obitorio di Bora Bora. Là, sai, nell’arcipelago che fece l’ammutinamento, è successo un fatto analogo: gli obitoristi di Bora Bora sono venuti a Milano in visita, quando gli obitoristi di Milano sono andati a Bora Bora non sono più voluti venire indietro. Perché? Perché lì non muore quasi mai nessuno, non è come a Milano. A Bora Bora muoiono una-due persone all’anno, quindi non hanno un cazzo da fare, sono tutto il giorno al mare, mangiano i molluschi e hanno fatto come il Bounty, come gli ammutinati del Bounty, quel famoso film di Marlon Brando. Quindi mi è piaciuto quel fatto del gemellaggio, a causa del quale ora a Milano non ci sono più obitoristi, che anche questo termine non so se è pertinente.

Obitorista è un neologismo, vero? Te lo sei inventato.

Sì, è così. Per la mia esperienza, quelli che vengono messi alla camera mortuaria dell’Asl sono quelli che fanno tribolare e vanno a lavorare ubriachi – io ne ho trovato uno, lì alla Baggina, che era un mio amico. Aveva cominciato a leggere libri sull’identità di genere, si era messo in testa di essere pederasta, ma non era pederasta. Iniziò ad andare alla biblioteca tradizionale a leggere i testi universitari di Freud, dei volumi enormi. Si era messo in testa di avere addosso la pederastia, e si era lasciato andare. Era deluso, aveva perso autostima. Faceva l’oss, alla Baggina, era un paramedico, aveva cominciato a bere. Gli cambiarono reparto, ma non poteva stare lì perché puzzava di vino, i pazienti e i loro parenti si lamentavano, e lo spostarono nella camera mortuaria.

Stessa cosa a Codogno: c’era un grosso ubriaco, questa volta dipendente dell’ausl, che è diventato obitorista in qualità di “custode non morto”. Lui sta lì, in mezzo ai defunti, seduto dietro a un tavolino e sorveglia. Ha il compito di assicurarsi che gli avventori non vengano a fare delle cazzate, come portare via le salme, in poche parole. Ma questo non succede quasi mai.

Credo che questo libro avrà moltissimi lettori fra i custodi degli obitori. Lo compreranno tutti, no?

Eh sì, ma sai, ai custodi degli obitori danno anche una casa sopra l’obitorio. Prima era addirittura un must. Adesso, sai, con la gente altamente scolarizzata, i figli dell’obitorista vengono scherzati al liceo, perché gli dicono: «Ah, ma figa, che abitate sopra l’obitorio». Sai, la ragazza rimane male. Mentre una volta, quando non andavano a scuola, finivano appena la quinta elementare, l’obitorista abitava sopra l’obitorio, avevi di diritto alla casa. Con la scolarità altissima succede che i figli dicano: «Papà, tutti mi scherzano perché abitiamo sopra l’obitorio». E allora vanno a prendere una villetta a schiera in periferia. E sopra l’obitorio realizzano un centro di prima accoglienza. Cioè, no, mettono quelli che sono in attesa di permesso. E, sai, lì fanno da mangiare. La casa non è tanto grossa, è ottanta metri quadri. Mettono quei ragazzotti lì, che arrivano dall’Africa. E niente. Loro non entrano nell’obitorio perché c’è un’entrata esterna, no? Quindi tu vedi i parenti, poi vedi questi qua, i mezzi nudi che vanno su. Dorso nudo. Perché sai, di solito sono a dorso nudo.

«Ma che cazzo è qua?», chiedono i parenti del defunto.

«Questo è un centro di accoglienza, stiamo aspettando il permesso di soggiorno dalla questura».

«Ma comunque non è il modo, cazzo. Qui c’è un momento di raccoglimento».

Vabbè, niente, loro non fanno mica niente. Passano dalla scala esterna, arrivano qui dentro a fare le condoglianze e non conoscono il defunto. Cioè, cosa volete? I parenti si lamentano che vedono questi qua che vanno sopra, di là, dalla scala esterna.

Ma quello delle Pompe li difende e dice: «Loro hanno il diritto di stare qua perché la prefettura li ha mandati qua. Voi avete il defunto, nessuno gli manca di rispetto. Giusto? Dovremmo accettare il raccoglimento da parte loro».

«Ma che loro, loro, cazzo, hanno i parenti in Africa!»

Io come obitorista dico: «Condivido certe cose sul mondialismo. Però in questo caso hanno ragione loro. Dovrebbero mettere una maglietta, almeno per il pubblico decoro, o una cravatta».

«Ma che cravatta, mica devono venire al funerale!»

«Eh, fateli venire al funerale anche loro».

«Ma no, ma non conoscevano il defunto».

«Vabbè, ma non hanno niente da fare tutto il giorno».

Magnifico.

Eh, l’ho improvvisata così.

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