Se per la rotta del Mediterraneo centrale aveva promesso il “blocco navale”, per quella balcanica il centrodestra aveva pensato di risolvere la questione dei migranti con le riammissioni informali in Slovenia, pratica già attuata quando al Viminale c’era Salvini e Matteo Piantedosi era il suo capo di gabinetto. Nonostante la censura dei tribunali, Piantedosi ci riprova a fine 2022 da ministro dell’Interno del governo Meloni. Ma stavolta la Slovenia respinge oltre il 90% delle richieste italiane. Così si decide di lasciar perdere e ripiegare sulle espulsioni, che per la quasi totalità riguardano cittadini afgani. Complice la sospensione di Schengen decisa da vari Paesi Ue nell’ottobre scorso e il conseguente ripristino dei controlli di frontiera ai valichi con la Slovenia, a marzo 2024 Piantedosi vanta 1.352 migranti respinti in 5 mesi. Allora come mai nel 2023 gli arrivi dalla rotta balcanica non sono diminuiti e così nei primi mesi del 2024? Una spiegazione la dà il nuovo rapporto “Vite Abbandonate, secondo rapporto sulla situazione e i bisogni delle persone migranti in arrivo dalla rotta balcanica a Trieste, dal quale emergono le responsabilità del Viminale di fronte ai mancati trasferimenti e all’accoglienza negata dei richiedenti asilo, tanto da produrre situazioni paradossali di irregolarità e degrado addirittura peggiori di quelle registrate negli anni precedenti.

Realizzato dalla Rete solidale di Trieste (Comunità di San Martino al Campo ODV, Diaconia Valdese, DonK – Humanitarian Medicine ODV, ICS – Ufficio Rifugiati Onlus, International Rescue Committee Italia, Linea d’Ombra ODV), il rapporto ricostruisce la situazione a partire dalle persone incontrate dalla Rete e alle quali è stata fornita qualche forma di assistenza: 16.052 con i maggiori arrivi registrati nei mesi estivi. Dato sottostimato perché non considera le persone non entrate in contatto con la Rete solidale e tuttavia indicativo proprio per l’aumento del 22% rispetto al 2022, quando le persone così segnalate sono state 13.127. Quanto al 2024, i dati del primo trimestre sono in linea con quelli dello stesso periodo dell’anno scorso. E le persone “respinte” di cui parla Piantedosi? “In seguito a numerose interviste condotte dalle organizzazioni della Rete con le persone migranti appena giunte a Trieste, non sono emersi elementi che fanno ritenere sussistente una prassi di respingimento illegittimo dei richiedenti asilo al confine italo-sloveno”, si legge nel rapporto. In altre parole, chi non avrebbe manifestato la volontà di chiedere asilo per sua scelta o perché non è stato messo nelle condizioni di farlo, di fronte a un eventuale respingimento non ha fatto altro che riprovarci esplicitando la sua volontà. Ma il vero fallimento è altrove e riguarda la mancata gestione delle presenze in Friuli Venezia Giulia, da Udine a Trieste. I numeri non sono quelli dell’emergenza, vista la media di 5 richieste d’asilo presentate al giorno a Trieste, città di 200 mila abitanti. Eppure nel 2023 si è arrivati a contare anche 500 persone lasciate all’addiaccio nonostante la domanda di asilo che fa dell’accoglienza un diritto del richiedente, per legge.

Il rapporto viene pubblicato a pochi giorni dallo sgombero del Silos di Trieste (foto), il rudere dell’ottocentesco magazzino ferroviario che negli ultimi dieci anni è stato il riparo di migliaia di persone provenienti dalla rotta balcanica e che il Comune ha deciso di evacuare in vista dell’imminente visita di Papa Francesco a luglio. Come nella precedente edizione, il rapporto parte da una serie di dati: il 68% è costituito da cittadini afgani che dopo i siriani sono il secondo gruppo per numero di richieste di asilo in Ue (114 mila nel 2023). Il 12%, con un’incidenza più che dimezzata rispetto al 2022, sono pakistani, mentre il 9% viene dalla Turchia. Il 69% sono uomini, l’11% nuclei familiari e il 19% minori non accompagnati, nel 94% afgani e in forte aumento rispetto all’anno scorso, quando erano l’11% delle persone registrate dalla Rete solidale. Come nella precedente edizione c’è il dato sulla destinazione finale, che in percentuale sempre minore indica l’Italia. “Solo il 19% delle persone sembra intenzionato a stabilirsi in Italia”, si legge. “La maggioranza delle persone incontrate (68%) ha dichiarato di voler raggiungere altre destinazioni al di fuori dell’Italia, con una netta preferenza per la Germania (meta di- chiarata dal 50% del totale dei rispondenti), seguita dalla Francia (29%), dalla Svizzera e dal Belgio (entrambe dal 6%)”. Si tratta di persone che spesso non si fermano nemmeno un giorno o che avrebbero bisogno di un’accoglienza di bassa soglia, per un paio di notti al massimo, quella sempre richiesta dalla Rete solidale e mai organizzata dall’amministrazione che, al contrario, ha addirittura paventato l’effetto “pull factor”.

Fuori dalla logica dell’emergenza a tutti i costi, si trattava di gestire un’adeguata rotazione dei posti disponibili per un flusso che nel 2023 ha segnato una media di 44 arrivi al giorno e senza considerare i cosiddetti “transitanti” che in città non si fermano. Un’impresa non certo impossibile, se solo le lungaggini burocratiche e il rallentamento dei trasferimenti verso altre regioni, in capo al Viminale, non avesse bloccato tutto trasformando la città in un limbo dove “i tempi di attesa per l’accesso alle misure di accoglienza hanno raggiunto un picco di 85 giorni, soprattutto tra i mesi estivi e autunnali, mentre il tempo medio di attesa nell’anno è stato di 45-50 giorni. Il numero dei richiedenti asilo in strada è variato da un minimo di 100 ad un massimo di circa 500 persone durante il 2023”. Come già riportato, il costantemente basso numero delle domande d’asilo non spiega il peggioramento nei tempi di attesa, che per la formalizzazione della richiesta sono arrivati “anche a nove mesi”. Intanto le persone stavano in strada, in pieno centro e fin davanti al municipio per chiedere il rispetto delle norme nazionali ed europee, ma senza mai avere udienza. Nel frattempo, riporta chi ha fornito assistenza sanitaria, le precarie condizioni igieniche e l’esposizione alle intemperie hanno causato a persone inizialmente sane “sintomi di depressione dell’umore, apatia, cefalee insistenti e insonnia”.

Non solo: “Si sono verificate prassi che hanno prodotto effetti paradossali in quanto diversi richiedenti asilo hanno formalizzato la richiesta di protezione internazionale e ricevuto il primo permesso di soggiorno quando erano ancora “in strada”, mentre erano in attesa della collocazione nei centri di accoglienza. Poiché ai fini del rilascio del permesso di soggiorno è necessario che ogni richiedente asilo possieda un domicilio, la Questura di Trieste in molti casi ha “assegnato” tale domicilio presso la “casa comunale”, come si procede in base alle norme vigenti per la residenza dei senza fissa dimora”, riferisce il rapporto. “Si tratta di una prassi alquanto impropria in quanto i richiedenti in oggetto hanno diritto ad accedere alle misure di accoglienza con immediatezza, come prescrive la normativa, eleggendo domicilio presso il luogo di accoglienza loro assegnato”. Il risultato? “La prassi ha spinto molti richiedenti asilo a rinunciare di fatto all’accoglienza, allontanandosi dal territorio alla ricerca di un lavoro che presumibilmente è stato reperito in situazioni di sfruttamento e rimanendo prive di un reale posto dove abitare, mentre le comunicazioni relative alla loro istanza di asilo venivano recapitate presso la “casa comunale” a cui essi non accedono. Tale impropria prassi, ben lungi dal rispondere ai bisogni delle persone, ha dunque contribuito ad alimentare la dispersione dei richiedenti e la loro invisibilità”. Con lo sgombero del Silos, luogo simbolo di queste vicende, le istituzioni hanno promesso la rotazione necessaria e il trasferimento dei richiedenti in tempi utili. Sempre che accada, perché non lo hanno fatto prima?

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