Calcio

Il primo effetto di Antonio Conte al Napoli è il basso profilo (inedito) di Aurelio De Laurentiis: ‘Decido io chi resta e chi va, ho avuto garanzie’

New era“? Forse adesso sì. Intendiamoci, di conferenze stampa di presentazione di allenatori, calciatori, ds e figure pallonare varie se ne sono viste a bizzeffe, tanto che, essendoci Aurelio De Laurentiis di mezzo, si potrebbe quasi parafrasare il Verdone coatto di “Viaggi di Nozze” e il suo monologo sui capelli. Eppure la conferenza di Conte può rappresentare qualcosa di nuovo, non nel panorama calcistico, no di certo, ma almeno in quello azzurro. Per quello che viene detto da Conte, ma anche e soprattutto per ciò che non viene detto e fatto. Non ci sono effetti speciali, niente maschere da Re Leone, pose alla Charlie’s Angels, grafiche con sopraccigli e roba simile: il sipario di Palazzo Reale che si apre, qualche parola del direttore del complesso Mario Epifani e via alle domande per il nuovo mister azzurro. Pochi fronzoli, ed è effettivamente un unicum rispetto al passato.

Poche parole pure per Adl, che presenzia accanto al nuovo mister senza tuttavia intervenire e soprattutto sproloquiare, se non (solo un po’) alla fine: nella prima ora l’unico intervento del patron azzurro è chiamato e autorizzato da Conte, per fare il punto sulle situazioni Di Lorenzo e Kvaratskhelia. Un paio di precisazioni, importanti ma stringate, e la palla torna al mister: è qualcosa di nuovo, anche visto il contesto particolarmente congeniale per la personalità spesso debordante di Aurelio De Laurentiis ed essendo inoltre un palcoscenico in cui il presidente del Napoli esibisce quello che è, a tutti gli effetti, un suo successo. Perché l’arrivo a Napoli di un allenatore come Conte in un’annata senza coppe europee e difficilissima è a tutti gli effetti un successo di Adl. E nello stesso contesto rappresentano di fatto un unicum le licenze che si prende Conte, licenze che mai in passato un allenatore (e chicchessia) si è potuto permettere a Napoli: su tutte la chiarezza su nomi, prospettive e situazioni. Dettagli (mica tanto), che per diciannove anni sono stati esclusivo argomento di Adl, tabù e talvolta blindato da atmosfere quasi coreane (del Nord) per tutti gli altri.

Conte è perentorio invece nel dirlo papale papale: “Decido io chi resta e chi va via: l’ho preteso e ho avuto rassicurazioni. Su questo non transigo e d’altronde se vogliamo fare un progetto di ricostruzione e mi cedono i calciatori migliori è un controsenso”. Idem su Kvaratskhelia e Di Lorenzo: “Restano. Se ci sono problemi alla fine si risolvono, ma decido io. E chi resta a Napoli è del Napoli al 200 per cento”. Messaggio chiaro a procuratori, amici, parenti, faccendieri e pletora varia delle corti più o meno lunghe e più o meno variopinte che attorniano i giocatori: “Ho le pillole per i mal di pancia”. Poi in merito passa la parola a De Laurentiis, che precisa: “Di Lorenzo si è sentito lasciato solo, a Kvaratskhelia offriremo il rinnovo”. E poi alza un altro sipario su Osimhen: “Grande giocatore, ma ci sono accordi precisi su cui non entro”, insomma ci entra e abbastanza chiaramente dicendo che se su Kvara e Di Lorenzo c’è il veto assoluto alla cessione, Osimhen è da considerare un ex calciatore del Napoli. Nessuna piacioneria ammiccante, solo l’ “amma faticà” già rilanciato nei giorni scorsi e buttato lì in maniera non studiata: “Non sono qui per la statuina nel presepe” dice chiaramente il mister, che non fa cenni all’amico Ciro Ferrara, agli incontri con Maradona, a pizze e golfi e l’unico figlio di Napoli che evoca è Gianpiero Ventrone, preparatore atletico che non c’è più, vero amico del mister e che in alcun modo ha legato la sua storia alla squadra azzurra, anzi, semmai alla massima rivale, la Juventus.

Obiettivi? “Siamo arrivati decimi lo scorso anno quindi sarà dura competere con le solite note. Ma ho notoriamente poca pazienza a stare nel ruolo di comprimario”. Mercato? “Il massimo possibile in base alle finanze del club”: insomma inutile aspettarsi Bellingham (che peraltro a Napoli nessuno si aspetta né si è mai aspettato) ma presumibilmente neppure Grassi e Regini se ci si ritroverà a competere per il primato. L’applauso scatta quando all’accenno ai “malpancisti” Conte evoca un Napoli che con lui deve diventare “meta” e non squadra di passaggio. Garanzie? Nessuna, ma parrebbe – quasi parafrasando Adl in una delle sue frasi più iconiche – che Conte dica ai napoletani: “Sono io la vostra garanzia”. Lui e non Adl dunque come mai accaduto in vent’anni: né per Sarri, né per Benitez, né per Ancelotti, né per Spalletti che alla fine, per sua stessa ammissione, restava ad ascoltare il patron senza parlare. Per un’ora invece è stato Adl ad ascoltare Conte. È un primo risultato. Per quelli del campo bisognerà attendere l’autunno. Per quello principale, e cioè capire quanto e se durerà questo unicum di Conte protagonista e Adl un passo indietro, ci si augura un po’ di più.