Come Davide contro Golia, l’associazione “Genitori Tarantini” ha avuto ragione su Acciaierie d’Italia in amministrazione straordinaria, con il pronunciamento della Corte di Giustizia dell’Unione Europea che ieri ha affermato: “L‘Ilva va sospesa se presenta gravi pericoli per la salute e l’ambiente”. La sentenza, definita “epocale” dal presidente della regione Puglia Michele Emiliano, è il risultato di un’azione legale inibitoria, una “class action” portata avanti da Maurizio Rizzo Striano, un avvocato che ha lavorato da volontario per una piccolissima associazione di cittadini, la maggior parte dei quali parenti di bambini di Taranto deceduti a causa di tumori.

Acciaierie per l’Italia ha commentato la sentenza affermando che questa fa riferimento a fatti risalenti al 2013, “superati grazie agli ingenti investimenti effettuati per il risanamento ambientale, in particolare la copertura dei parchi minerari”
È un’affermazione falsa. Il Tribunale di Milano ha valutato la situazione esistente al 2022. In particolare le valutazioni di danno sanitario (Vds) redatte negli anni 2017, 2018, 2021, le quali tutte riscontrano una relazione causale tra l’alterato stato di salute dei residenti nell’area di Taranto e le emissioni di Ilva, specie con riferimento a PM10 ed SO2 (biossido di zolfo) di origine industriale, nonché il rapporto del relatore speciale dell’Onu del 12 gennaio 2022 in cui Taranto è inserita tra le “zone di sacrificio”.

I commissari di Acciaierie d’Italia hanno fatto sapere di aver consegnato ai ministeri dell’Ambiente e della Salute una valutazione di impatto sanitario dalla quale emergerebbe che “se lo stabilimento producesse 6 milioni di tonnellate di acciaio all’anno (con altoforni a carbone), il rischio per la salute per popolazione di Taranto sarebbe ampiamente accettabile”.
La valutazione di impatto sanitario dei commissari è di parte e non ha nessuna rilevanza. Le valutazioni di danno sanitario (Vds) sono disciplinate dalla legge in base alla quale devono essere redatte da Arpa puglia, Asl Taranto e dipartimento Ares della regione Puglia in collaborazione fra di loro. La più recente è di dicembre 2023 ed attesta una situazione di persistente grave pericolo.

Quest’anno Ilva produrrà circa 1,5 milioni di tonnellate. Esistono pericoli anche con una produzione così scarsa?
La produzione dell’ex Ilva fino alla pandemia si attestava intorno ai 6 milioni di tonnellate di acciaio annuo. Negli anni successivi è passata a 4 milioni per effetto del Covid. Poi è ulteriormente scesa. Il problema che si pone è stabilire se c’è un limite entro il quale Ilva diventa non preoccupante per la salute. Le valutazioni tecnico scientifiche di questo aspetto sono state fatte per una produzione di 4 e di 6 milioni di tonnellate e in entrambi i casi hanno attestato che non è tollerabile dal punto di vista del danno sanitario. A meno 4 milioni non si è mai scesi perché sotto quel limite è notorio che l’Ilva non sta sul mercato, va in perdita: lo dimostra il fatto che da quando nel 2018 è entrato Arcelor Mittal a oggi, si è accumulato un passivo di circa 7 miliardi di euro di debiti.

Che cosa cambia in concreto per l’ex Ilva?
Acciaierie d’Italia ha chiesto di arrivare a produrre otto milioni di tonnellate. Questo sarebbe un ennesimo disastro ambientale. Ma sarà evitato perché in base alla pronuncia della Corte la valutazione sanitaria è obbligatoria e sappiamo già che sarà negativa: non sarà raggiungibile né la soglia degli 8, né quella dei 6 milioni. Se si dovranno fare valutazioni di danno sanitario su una produzione minore, l’esito dipenderà dai dati scientifici che saranno presi in considerazione dal Tribunale di Milano al momento della decisione. La sentenza dice che le valutazioni di danno sanitario (Vds) sono obbligatorie per il procedimento di rilascio dell’Autorizzazione Integrata Ambientale (Aia) e che in casi come ex Ilva, che producono gravi danni alla salute, non si può fare nessuna proroga dell’Autorizzazione Integrata Ambientale: gli impianti devono fermarsi, fino a quando non viene ripristinato il limite della tollerabilità delle emissioni. Anche oggi siamo in regime di proroga dell’Aia, quindi Ilva oggi non ha un valido titolo per continuare a proseguire l’esercizio dell’attività. Questo principio della corte vale per tutti gli organi dello Stato Italiano quindi anche per il governo. Un governo scrupoloso e attento alla salute dei cittadini non dovrebbe aspettare la decisione del tribunale di Milano ma dovrebbe fermare immediatamente gli impianti.

Come si è arrivati a questo pronunciamento?
L’occasione è arrivata quando nel 2019 in Italia finalmente entrò in vigore la normativa sulla “class action”, istituto che fa da contrappeso ai potentati economici delle multinazionali. Iniziammo con un’azione inibitoria, che ha come obiettivo non un risarcimento del danno ma fermare le condotte che hanno portato a questo danno. Abbiamo chiesto al Tribunale delle imprese compente, quello di Milano, di chiudere l’area “a caldo” dell’ex Ilva o quantomeno di fermare gli impianti, per evitare altri danni alla salute. Il Tribunale ha ritenuto la nostra domanda ammissibile e si è posto il problema della legislazione salva-Ilva, che consentiva di proseguire l’attività nonostante la pericolosità di questi impianti, per salvaguardare l’occupazione e gli interessi dell’economia. Noi abbiamo reagito dicendo che questi principi erano contrari al diritto comunitario. Il Tribunale di Milano ha avuto un dubbio. Quando un giudice nazionale ha un dubbio sulla legittimità della legge di un proprio Stato rispetto a quella comunitaria deve rimettere gli atti alla Corte di Giustizia che decide quale sia il principio da applicare in base al diritto comunitario. La corte ha ritenuto i quesiti molto rilevanti e ha ritenuto di decidere con la Grande Camera che è il massimo organo decisionale.

Quali prospettive apre questa sentenza in termini di protezione della salute dei cittadini?
La decisione è vincolante non solo nei confronti dei giudici di Milano ma anche su quelli di tutti gli altri Stati membri, che interpretando casi simili a quello dell’Ilva, d’ora in poi si atterranno a quello che ha affermato la Corte. Siamo partiti dall’Ilva ma questa è una sentenza storica perché sarà il punto di riferimento di tutti i giudici dei 27 Paesi dell’Ue. In termini pratici significa che saranno salvate migliaia di vite umane.

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