A chiamarlo semplicemente commissario tecnico si rischia di fargli un torto. Perché per la Repubblica Ceca Ivan Hasek è molto più di un tecnico. Personaggio enorme ed enormemente complesso, l’uomo partito da Městec Králové, insediamento da neanche tremila abitanti nei pressi di Nymburk, è stato tante cose e tutte insieme. Giocatore, capitano della Nazionale, politico, allenatore, figura apicale della Federcalcio, avvocato, fiero fustigatore della corruzione nel calcio ceco. Una figura a metà strada fra il capo di stato e il mister in tuta e scarpette bullonate. Il suo appuntamento con la storia arriva alla fine degli anni Ottanta. Allora gioca come centrocampista centrale nello Sparta Praga, un club che all’epoca non si limitava a prendere parte al campionato, ma lo dominava. Nella capitale vince tutto: cinque titoli nazionali e tre coppe di Cecoslovacchia. Oltre a due riconoscimenti come calciatore cecoslovacco dell’anno.

Nel novembre del 1989 un vento tutto nuovo soffia sul Paese. La gente si riversa nelle piazze, inonda le strade. Si chiedono elezioni libere e la fine del partito unico. “Quarant’anni sono abbastanza” gridano. “Non vogliamo più il partito comunista” ripetono. Ivan Hasek si affaccia dal balcone di piazza San Venceslao e pronuncia un discorso che tocca il cuore della gente. E non solo perché in quel momento è il capitano dello Sparta e della Nazionale. Le sue parole contribuiscono ad alimentare la Rivoluzione di Velluto, a cambiare la storia del suo Paese. Il resto Hasek lo fa nell’estate successiva. È l’anno delle Notti Magiche, quelle trascorse inseguendo un gol. La Cecoslovacchia arriva a Italia ’90 con l’entusiasmo di chi sa di avere futuro davanti a sé. Vince contro gli Stati Uniti (1-5 con gol di Hasek). Vince contro l’Austria. Perde contro l’Italia. Alla fine passa il Gruppo A come seconda. Agli ottavi travolge il Costa Rica, poi ai quarti si deve arrendere alla Germania Ovest. Quando l’estate tramonta Ivan ha 27 anni. E comincia ad avere fame di nuove esperienze. Gioca nello Strasburgo, prima nella B francese e dopo in massima serie. Poi cambia ancora. Sanfrecce Hiroshima e Jef United sono le tappe esotiche di una carriera che chiuderà da comprimario allo Sparta, lì dove tutto era iniziato.

Poi inizia ad allenare il “suo” club. I risultati sono buoni. Parecchio. Due titoli in due anni. Poi Hasek cambia ancora: Strasburgo, Vissel Kobe, Al-Wasl, Saint-Etienne, Al-Ahli. Una vita intera passata a cercare il centro nella periferia. Vent’anni dopo il discorso a piazza San Venceslao la vita di Ivan cambia ancora. Lui che aveva denunciato le ruberie nel calcio ceco era stato eletto presidente della Federcalcio. E contemporaneamente diventa anche ct della Nazionale. Entrambi i mandati durano pochi mesi. Poi Hasek lascia e torna ad allenare in Medio Oriente: Al-Hilal, Qatar SC, Fujairah, Emirates e Libano. Nel novembre del 2023 succede qualcosa di impensabile. La Repubblica Ceca si trova in ritiro a Olomouc in attesa di affrontare la Moldavia in un match decisivo per la qualificazione a Euro 2024. Jiri Chytry, assistente dell’allenatore Jaroslav Silhavy, non riesce a dormire e si mette a passeggiare lungo i corridoi. Solo che casualmente si accorge che qualcosa non torna. Jakub Brabec, Vladimir Coufal e Jan Kuchta hanno fatto festa per tutta la notte insieme ad altri calciatori dilettanti in un night club chiamato Belmondo. È uno scandalo che rischia di travolgere tutto il calcio ceco. Devono cadere teste. Dovevano essere comminate sanzioni.

Due giorni dopo la Repubblica Ceca batte 3-0 la Moldavia e fra mille grattacapi stacca il pass per la Germania. A fine partita il ct Jaroslav Silhavy si presenta davanti alle telecamere con la faccia lunga. E annuncia le sue dimissioni. “Avevamo deciso da tempo che non avremmo proseguito» dice. Anche se tutti sanno che la festa al Belmondo c’entra eccome. Al suo posto viene chiamato Ivan Hasek. Quella che gli viene consegnata è più una missione impossibile che un incarico. Fino all’Europeo può disputare solo amichevoli. Ed è anche il terzo ct meno pagato di quelli che sono in Germania. Creare un’identità tattica è impensabile. Così Hasek decide di mettere insieme una squadra in grado di adattarsi alle caratteristiche degli avversari. È un problema che il ct cerca di trasformare in virtù. “Saremo imprevedibili agli Europei” dice. “Non giocheremo un calcio naïf” ripete. Intanto si circonda di uno staff giovane che guarda al gegenpressing della scuola tedesca. “Sarò soddisfatto se riusciremo a superare la fase a gironi – ha detto prima di partire – giocheremo un calcio che faccia divertire i tifosi”. Ma per vestire ancora una volta i panni del salvatore della Patria, stasera Hasek deve battere la Turchia di Montella.

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