Cinema

Tutti i film di Franco e Ciccio, memoria popolare spensierata e di massa nel libro di Marco Giusti

di Davide Turrini

Francociccisti, o franchingrassiani, di tutto lo Stivale drizzate le antennuzze. Al Cinema Ritrovato di Bologna, tra una restaurata Marlene Dietrich venduta alla maniera lgbtq e un’Alice Rohrwacher che sbertuccia Pirandello (“ho deciso di girare un film muto da quando ho scoperto che Pirandello odiava il muto”), ecco riemergere due sicilianissime spie “venute dal semifreddo” tra le pagine di un’opera fisicamente, e non solo, omnia.

Tutti i film di Franco e Ciccio è il libro di Marco Giusti (Bloodbuster edizioni) che chiude sportelli, spiragli, fessure rimaste aperte sul celebre duo comico siculo che s’impose commercialmente nelle sale italiane negli anni sessanta per poi affermarsi come iconografia di una memoria popolare spensierata e di massa. Un po’ il solito problema che la risata al cinema in Italia, e non solo, ha avuto con il concetto di cultura.

Un dato subito per aprire (pagina 67 del libro): da quando iniziano ad apparire nel loro primo film insieme (Appuntamento ad Ischia, 1960) fino attorno al 1973 quando arriverà la prima separazione (nel 1984 torneranno in Kaos dei Taviani) gireranno 110 film per un incasso totale di 80 miliardi. Un’enormità. Soprattutto se si pensa ai bassissimi costi delle produzioni in testa quelli della lungimirante Fida. Eppure, nonostante l’umanissima e universale gavetta nella miseria degli artisti di strada con letteralmente le pezze al culo (c’è l’aneddoto di Ciccio con i mutandoni di lana che in una scalcagnata tournée gelida in Abruzzo sul finire degli anni cinquanta non se li leverà per giorni), l’autentica sincera popolarità tra la gente e in particolar modo tra i bambini raggiunta facendo ridere, Franco e Ciccio rimangono negli archivi del ricordo anche come quei due attori che tentarono di accreditarsi nel mondo alto del cinema italiano, anche nella stesso filone della commedia ma alla Monicelli o Risi, senza mai avere un vero successo.

Ricordiamolo ancora per chi avesse dimenticato le giornate passate soprattutto in tv a rivederli negli anni ottanta e novanta (chi scrive sopravvisse a fastidio una varicella ridendo a crepapelle per I due sanculotti) che la fortuna di Franco e Ciccio fu proprio quella di parodiare il cinema cosiddetto alto, o perlomeno i titoli forti nel box office per poi arrivargli letteralmente a un centimetro in fatto di incassi. Due mafiosi contro Goldginger, 00-2 agenti segretissimi, Il buono, il brutto, il cretino, Per un pugno nell’occhio, Sedotti e bidonati sono solo alcuni tra le centinaia di titoli parodici rispetto ai grandi richiami modello spy story, spaghetti western o, sacrilegio, addirittura commedia alta (a sua volta molto remunerativa negli incassi) verso la quale i due comici cercheranno infine a partire dagli anni settanta un appiglio recitativo per quel cruccio tutto psicologico individuale di rivalsa socio-culturale (“il filtro dell’intelletto”, spiegava Franco in un’intervista). Del resto Giusti lo rimarca più volte.

La critica cinematografica – in primis “quella del Nord” – fece a pezzi i film con Franco e Ciccio per anni. “I loro musi incitrulliti, la loro mimica sgradevole, le loro battute instupidite fanno cassetta”. “Le più turpi nullità di un sottobosco cinematografico tanto offensivo quanto carico di milioni mal guadagnati”. Queste sono solo alcune primizie che Giusti spulcia tra quotidiani, riviste e documenti dell’epoca. Mentre i loro film, spesso 4 o 5 all’anno, finivano nei circuiti di seconda e terza visione, rimanendoci anche per un decennio, Franchi e Ingrassia venivano culturalmente massacrati. Giusto? Sbagliato? La storia, gli episodi, gli screzi tra i due testimoniano che avevano bisogno del ruolo, della parte, dello spazio da protagonisti di “qualità”. E pensate, ancora freschi del Pinocchio televisivo di Comencini, definitivamente assurti a giocose facce dell’intrattenimento popolare, Ciccio è il primo a “tradire” recitando per Florestano Vancini in La violenza: quinto potere (dimenticato ai più), mentre Franco cerca la via del debutto musicale da solista (inascoltato ai più).

Certo arriveranno L’esorciccio per Ingrassia e Ultimo tango a Zagarolo per Franchi, da soli in scena ancora sulla scia parodica con successo assicurato, ma è l’alchimia del duo che proviene dalla polvere della strada a sfumare triste e malinconica come in un soggetto zavattiniano. A tal proposito: per capire bene sia la vocazione da guitti di Franchi e Ingrassia ragazzini, gli equilibri di lavorazione nella formula d’oro in sala (recitate come un mantra Lucio Fulci, Lucio Fulci), e soprattutto l’esatta cronologia delle numerose separazioni/riappacificazione dei due, invece di compulsare lo smartphone su Wikipedia comprate il libro di Giusti e sarete sazi.

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