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Una legge sull’autonomia può avere senso, ma la riforma Calderoli no: è fallimentare dall’inizio

Non vi è dubbio che la legge Calderoli sull’autonomia (lasciamo perdere l’aggettivo differenziata, per favore) vada bocciata, sia nel metodo che nel merito. Questo per delle ragioni, a mio avviso, diverse e forse anche più profonde di quelle avanzate dal fronte progressista. Veramente siamo di fronte a una legge che spacca ulteriormente l’Italia oppure alla secessione dei ricchi come sostengono i leader progressisti?

Facciamo un passo indietro al primo embrione di questa legge, considerando il caso del Veneto. Nel 2017 la Regione Veneto indisse un referendum su questo tema. Parteciparono più di due milioni di elettori e il risultato fu chiarissimo. Il 98 % dei veneti voleva più autonomia. Si tratta di persone egoiste, pur in una Regione cattolicissima, e che volevano spaccare il Paese? Non so, ma sicuramente questi bravi cittadini e cittadine volevano mettere le mani sul corposo residuo fiscale che la Regione passa ogni anno allo Stato.

Il problema, come al solito, sono i soldi. Le Regioni del Nord danno alla comunità statale molto più di quello che ricevono. Si tratta allora solo dell’egoismo dei ricchi? Credo di no e la motivazione va cercata altrove. Il problema non riguarda le entrate, che per forza di cose sono più elevate al Nord visto il maggior reddito pro capite, ma le spese. I cittadini e le cittadine del Nord, me compreso, si sono convinti che i soldi che ormai da almeno tre generazioni sono convogliati al Sud non sono spesi bene e utilizzati al meglio. E questo lo si nota nei servizi abbastanza scadenti al Sud, pur a parità di spesa dovuta alla perequazione statale.

Molti si chiedono, al Nord ma anche altrove, perché lo Stato dovrebbe intervenire per ripianare, ad esempio, il disavanzo mostruoso della Regione Sicilia frutto di scelte spesso pazze e clientelari. E gli esempi di questa mala gestione, soprattutto sanitaria, potrebbero essere numerosissimi. Come l’efficienza a volte soffoca la giustizia, così accade anche il contrario e la presunta giustizia rischia di soffocare l’efficienza, generando un sentimento di frustrazione e rabbia.

I cittadini del Nord vogliono l’autonomia non perché sono più ricchi, ma solo perché sono, forse, più bravi nel gestire la spesa e non vogliono favorire gli sprechi parassitari degli altri. Per molti è l’inefficienza globale del Sud che spacca il paese, non la mancanza di solidarietà del Nord, che finora non è mancata. Con un tocco goldoniano, Pantalone si è stufato di pagare per tutti.

Corretta o no, se il Nord ha questa esigenza, anche i progressisti non possono liquidarla in nome di principi condivisibili ma disattesi nella pratica. L’autonomia di Calderoli è da buttare non perché amplia le competenze regionali ma per la ragione opposta, perché è una finta autonomia.

In effetti nel testo legislativo manca la parte decisiva che riguarda le risorse. La legge non prevede alcuna forma di compartecipazione finanziaria e quindi le risorse saranno modestissime. Tanto rumore per nulla. I leghisti padani stanno festeggiando il quasi nulla, che però qualche conseguenza negativa porterà. I progressisti potevano farsi invece portatori di una autonomia finanziaria moderata che avrebbe costretto anche gli ultimi ad essere più efficienti. In fondo la riforma costituzionale del 2001 che ha aperto le porte all’autonomia regionale fu voluta dal duo Amato-Bassanini, e quindi non proprio dalla destra.

I progressisti toccando sempre il tasto morale hanno perso un’occasione d’oro per riconciliarsi con una larga fascia di popolazione del Nord, che è solidale ma fino ad un certo punto.

Poi ci sono altri due aspetti critici, di eguale importanza. Il primo è di metodo. La legge Calderoli è tutt’altro che chiara e lascia molti punti in sospeso, o meglio nelle mani del governo. È una specie di autonomia governativa che taglia fuori il Parlamento. Che sia questo il premierato à la Meloni? Tutto ciò creerà molta confusione e farà nascere una burocrazia regionale di cui veramente non si sentiva il bisogno. Ci sarà molto lavoro per i giuristi e avvocati che spaccheranno il capello dell’autonomia in quattro per capire i confini delle varie competenze.

Il secondo aspetto riguarda invece l’assunto di base, diciamo la filosofia di fondo, secondo il quale le Regioni sarebbero in grado di gestire meglio le risorse rispetto allo Stato centrale in base al principio di sussidiarietà. Qui mi permetto di dissentire nettamente. Il principio di sussidiarietà, decentrare le decisioni al livello più basso possibile, è molto bello sulla carta ma disastroso nella sua applicazione. Più si scende in basso e maggiori sono i condizionamenti, le influenze locali e in definitiva peggiora di molto la qualità delle scelte amministrative. Il localismo è la morte della razionalità amministrativa.

Per far funzionare effettivamente il principio di sussidiarietà servirebbero due condizioni che raramente si trovano: responsabilità e competenza. Senza di esse abbiamo un dispotismo locale a volte veramente insopportabile, ma ancora di più dannoso. Il principio di sussidiarietà nella pratica diventa il principale veicolo di corruttibilità, morale se non proprio penale. Questo lo insegnava anche James Buchanan, grande conservatore e poi premio Nobel per l’economia ancora negli anni Sessanta.

Se poi guardo a cosa potrebbe portare l’autonomia di Calderoli, per esempio, nell’istruzione qui ci sono veramente pochi misteri, ma molte disillusioni. Magari gli insegnanti veneti sperano di poter ottenere in questo modo un sostanzioso aumento di stipendio, un’indennità di funzione di 700 euro mensili come i loro colleghi in Alto Adige. Ma ciò non accadrà perché la Regione a statuto speciale trattiene il 90 delle imposte statali, e il Veneto zero. Potrebbe esserci invece un arretramento retributivo se i docenti da personale statale passassero a personale regionale!

Quello che accadrà invece sarà che i pochi milioni strappati allo Stato verranno impegnati per esaltare le trazioni locali, dal vino al formaggio alla salsiccia veneta. Niente di male, ma sono risorse sottratte all’istruzione di qualità a benefizio dei politici che potranno dire di aver fatto un passo in avanti per difende l’identità veneta, che peraltro non esiste o è flebilissima. La vera autonomia è legata all’efficienza amministrativa e allora bisognava avere più coraggio, a destra ma anche a sinistra. Per questo l’autonomia in salsa leghista più che essere differenziata è fasulla e quindi fallimentare.