Sembra che la Commissione cultura e istruzione del Senato sia riuscita in un colpo solo a scontentare tutti. Eccetto le varie forze politiche che la compongono, e che hanno adottato praticamente all’unanimità il testo unico sull’abolizione del numero chiuso a medicina, tutti gli addetti ai lavori sono accomunati da un sentimento di insoddisfazione. L’idea di superare il test di ingresso per come lo conosciamo oggi non è sbagliata. In molti tra ordine, sindacati e associazioni di studenti e professionisti lo auspicano. Ma se la proposta è di farlo scopiazzando il modello francese, aspramente criticato anche in patria, il sostegno alla riforma viene meno. L’idea del vice presidente del consiglio, Matteo Salvini, che fin dall’inizio dell’iter si è assunto l’onore di guidare questa “battaglia”, è: abolire il numero chiuso a medicina per risolvere la drammatica carenza di medici nel nostro Sistema sanitario nazionale. Ma la mancanza di personale negli ospedali non dipende da un basso numero di camici bianchi a livello assoluto, come ripetono da mesi i sindacati e l’ordine professionale.

Lo spiega a ilfattoquotidiano.it Alessandro Dimitrio, responsabile di NumeroGiusto: “Il problema è la carenza di medici specialisti in determinate aree, non in generale. Per esempio, non mancano cardiologi, mentre invece ci sono pochissimi medici d’emergenza-urgenza. Aumentare il numero assoluto di potenziali camici bianchi adesso significa inserire nel mercato del lavoro, tra dieci anni, un tot di professionisti che rimarrà disoccupato. Il mercato sarà saturo e la conseguenza sarà la svalutazione del lavoro medico e, a seguire, dello standard di cura offerto ai cittadini”. E conclude: “È una manovra dettata solo dall’interesse politico di far vedere che si sta lavorando sulla Sanità. È una distrazione. La verità è che si sta complicando il problema, non lo si sta risolvendo”.

Il testo base assegna al governo una delega di un anno. Sarà l’esecutivo a dover scrivere nel dettaglio la riforma, rispettando i principi direttivi approvati dalla Commissione. Il testo prevede che venga eliminato lo sbarramento iniziale del test, superando definitivamente il metodo di selezione introdotto nel 1999. L’accesso al primo semestre universitario verrà consentito a tutti. Durante questo periodo, gli aspiranti camici bianchi dovranno seguire le lezioni e passare alcuni esami propedeutici. Solo chi avrà ottenuto tutti i Cfu (crediti formativi universitari) stabiliti potrà essere inserito in una “graduatoria di merito nazionale”, i cui parametri restano per il momento poco chiari. Alla fine di questi sei mesi – durante i quali, secondo i promotori del testo, verranno messe alla prova le capacità e la vocazione degli studenti – dovrà essere comunque svolto un test. Superandolo, si potrà continuare il percorso di studi. In caso contrario, i crediti acquisiti nel primo semestre potranno essere usati per altri corsi di laurea affini. Più o meno come avviene in Francia. Qui il primo anno di tutti i corsi dell’area medica (Medicina, Odontoiatria, Farmacia e Ostetricia) è in comune. Si chiama “Première année commune aux etudes de santé” ed è diviso in due semestri, alla fine dei quali gli studenti devono affrontare dei concorsi di selezione, sulla base di quanto studiato alle lezioni durante l’anno. In caso di esito negativo, lo studente ha la possibilità di ripetere il primo anno – ma solo una volta – oppure dovrà cambiare strada e reindirizzarsi verso altri corsi di laurea.

Questo modello, estremamente stressante e competitivo, è rifiutato dall’associazione Giovani Medici per l’Italia e dal suo presidente, Antonio Cucinella: “Analizzando questa tipologia di sbarramento si osservano criticità non accettabili – commenta a ilfattoquotidiano.it -. Di fatto è una sorta di test d’ammissione della durata di sei mesi, estenuante a livello fisico e mentale, che in Francia ha portato a un aumento fra gli studenti della prevalenza di depressione e malattie mentali, come attacchi di panico. Oltre a questo, chi non riesce a superare lo sbarramento, parliamo di decine di migliaia di ragazzi, sarà costretto a perdere uno o due anni di vita, prima di sapere cosa ne sarà di lui”. Ma c’è un problema ancora più a monte: le strutture universitarie italiane sono in grado di accogliere i circa 70mila aspiranti medici che ogni anno tentano il test? La risposta è no, ed è per questo che la soluzione prevista è quella di tramutare i corsi in presenza in lezioni telematiche. Un elemento che preoccupa molto gli studenti. Soprattutto perché dai singoli risultati degli esami dipenderà la loro posizione nella “graduatoria di merito nazionale”. La paura è che, considerate le differenze tra gli atenei e tra i diversi metodi valutativi dei singoli professori, il “merito” possa trovare poco spazio in questa graduatoria. “Pensare di eliminare il test senza stanziare dei finanziamenti per adeguare la capacità di formazione delle università significa inficiare in modo grave la qualità formativa dei futuri medici italiani”, conclude Cucinella.

Per Pierino di Silverio, segretario nazionale del sindacato di medici e dirigenti sanitari Anaao-Assomed, questa manovra ha l’obiettivo di “parlare alla pancia della popolazione”. Secondo il sindacato, il semestre telematico mette a rischio le peculiarità della facoltà di medicina. Vengono meno il rapporto diretto con il docente, la possibilità di utilizzare i laboratori e di seguire le attività didattiche in presenza. “Noi siamo convinti – spiega di Silverio – che l’attuale test sia iniquo, a tratti ridicolo, sicuramente non meritocratico. Ma potrà essere meritocratica una selezione che si basi sul singolo voto a un singolo esame da parte dello studente? No, perché così è tutto basato sulla soggettività del professore”. Per il segretario sarebbe stato molto più utile agire sull’attuale modalità di selezione, cambiando contenuti e tipologia del test di ingresso. “Ma soprattutto fornendo ai ragazzi dei programmi e dei libri di testo unici da cui studiare, oltreché dei corsi di formazione gratuiti organizzati dalle università. Anche per combattere la mercificazione della preparazione che oggi vede decine di società private promettere l’ingresso a medicina, a pagamento”. E conclude: “Abbiamo bisogno di medici preparati e competenti, selezionati in modo meritocratico. Non di un metodo che permetta ai singoli professori di decidere chi potrà fare il medico e chi no”.

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