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Nomine Ue, il Consiglio decisivo. Tutti gli occhi su Meloni, anche Tusk fa marcia indietro: “Nessuna decisione senza di lei”

Il Consiglio europeo si apre a Bruxelles con un mix di tensione e preoccupazione. I partiti si sono riuniti in mattinata nei vari pre-vertici per definire le ultime strategie, ma tutti coloro che hanno a cuore la stabilità dell’Unione europea sanno che quello del 27-28 giugno potrebbe essere l’ultimo appuntamento utile per trovare un’intesa sulle quattro cariche apicali dell’Ue ed evitare di riaggiornarsi dopo la pausa estiva, finendo inevitabilmente in un groviglio di veti, vendette e rivendicazioni che rischierebbero di paralizzare l’Unione per mesi.

I nomi sui quali si discute sono quelli che circolano fin da quando le trattative sono entrate nella loro fase più calda: Ursula von der Leyen (Ppe) riconfermata alla presidenza della Commissione, così come Roberta Metsola (Ppe) alla guida del Parlamento, Antonio Costa (Socialisti) a capo del Consiglio Ue, mentre Kaja Kallas (Renew) Alto rappresentante per la Politica Estera dell’Ue. Ma il risultato è tutt’altro che scontato perché tra loro e le rispettive poltrone europee si è messa Giorgia Meloni. È la presidente del Consiglio italiana a essere al centro della scena in queste ore. Il suo supporto o meno ai nomi proposti determinerà il successo o il fallimento delle trattative.

Meloni lo sa e per questo tenterà di ottenere il massimo dalle contrattazioni, sfruttando la fretta dei partiti Ue: un commissario di peso, si parla di Raffaele Fitto al Bilancio, magari con la vicepresidenza di Commissione. Un gioco rischioso anche per lei, però: accettare troppo passivamente le imposizioni di Francia e Germania, che sono i grandi manovratori nemmeno troppo dietro le quinte nel gioco delle nuove nomine, rischierebbe di farle perdere la faccia negli ambienti conservatori, con Ecr che rischia di spaccarsi, ma far naufragare l’intesa stopperebbe il suo processo di normalizzazione a livello internazionale, probabilmente relegandola nel gruppo degli ‘impresentabili’.

Che però Meloni abbia un ruolo determinante lo dicono innanzitutto gli esponenti del Ppe che guardano più a lei che ai Verdi per arrivare a un’intesa: “L’Italia è Paese del G7, è un Paese leader nell’Unione europea. Apprezzo molto tutto il contributo del governo italiano sotto la guida di Antonio Tajani e Giorgia Meloni ed è per questo che ritengo fondamentale per l’Ue” che vi sia un “processo inclusivo” sulle nomine Ue che “tenga conto anche degli interessi italiani”, ha detto il presidente dei Popolari, Manfred Weber. Che ha poi aggiunto: “Oggi è importante dare stabilità all’Europa e i tre grandi partiti politici europei, i socialdemocratici, i liberali e i cristiano-democratici, hanno una responsabilità speciale nel garantire questa stabilità all’Europa. Spero che riusciremo a dimostrare al mondo che l’Europa è in mani sicure. E che poi avremo la maggioranza per Ursula von der Leyen anche al Parlamento europeo”.

Più netto Antonio Tajani, vicepresidente del Ppe, che si trova nell’impegnativo ruolo di favorire il matrimonio tra la maggioranza Ursula e Meloni, essendo sia vicepresidente dei Popolari sia vicepremier italiano: “Non c’è ancora alcuna decisione sul voto dell’Italia, le trattative devono ancora iniziare – ha detto all’arrivo a Bruxelles – La mia è una propensione favorevole senza alcuna apertura ai Verdi. Certamente io sono molto perplesso sulla durata dei 5 anni per il presidente del Consiglio europeo”.

Anche l’ala più liberale del Ppe sembra aver accettato Meloni come prima scelta per un accordo di maggioranza, dato che il primo ministro polacco Donald Tusk ha fatto marcia indietro sulle sue dichiarazioni di pochi giorni fa, quando aveva detto che la premier non era fondamentale per formare una maggioranza che, nei numeri, esisteva già: “Una cosa è chiara, nessuno rispetta il primo ministro Giorgia Meloni più di quanto lo faccia io – ha detto- Si tratta di un’incomprensione, a volte abbiamo bisogno di piattaforme politiche per semplificare il processo. La decisione spetta a Meloni e agli altri leader durante la riunione del Consiglio europeo. L’unica intenzione e l’unico motivo per cui abbiamo preparato questa posizione comune è quella di facilitare questo processo. E non c’è decisione senza il primo Ministro Meloni”. Sulle stesse posizioni anche il liberale olandese Mark Rutte, nuovo segretario generale della Nato: Giorgia Meloni “non è esclusa” dalle nomine Ue e “dobbiamo garantire che l’Italia si senta ben rappresentata nella nuova Commissione europea e non solo”.

Chi mette pressione alla premier italiana sono invece i Socialisti che vorrebbero più un accordo con i Verdi. Ma la loro posizione svantaggiata rispetto ai Popolari in Parlamento e il risultato disastroso dei Verdi alle elezioni non danno loro potere contrattuale: “Bloccare l’accordo di oggi significa bloccare il futuro dell’Ue – ha detto la capogruppo dei Socialisti Ue, Iratxe Garcia Perez – Ci aspettiamo che l’accordo raggiunto tra le tre famiglie politiche venga ratificato oggi, ci opporremo a coloro che cercano di lavorare contro l’Ue, non c’è collaborazione possibile con l’estrema destra”.

Viktor Orban, invece, gioca la sua personale partita nel tentativo di creare un nuovo grande gruppo formato dai partiti della destra esclusi dalle trattative. Così attacca l’intesa: “Gli elettori europei sono stati ingannati. Il Partito Popolare Europeo ha formato una coalizione di bugie con la sinistra e i liberali. Non sosteniamo questo accordo vergognoso“. Sia Orban che Meloni sanno che la decisione della premier italiana cambierà gli equilibri al parlamento europeo. Lo dimostrano le dichiarazioni del Pis polacco, l’altra grande forza dentro Ecr, che minaccia di abbandonare il gruppo guidato da Fratelli d’Italia: “Siamo in trattativa con Ecr e questo è l’elemento principale che deciderà del nostro futuro”, ha detto l’ex premier polacco Mateusz Morawiecki, specificando che il partito è tentato di andare “in entrambe le direzioni (rimanere nel gruppo o uscirne, ndr). Direi che la probabilità è del 50/50″, ha spiegato aggiungendo che “non è garantito” che il PiS rimanga in Ecr. Un problema che Meloni dovrà affrontare già dal giorno dopo la sua scelta di campo in Ue.