Cinema

Shoshana, in sala il riuscito thriller politico sul terrorismo sionista girato dall’inglese Winterbottom

Vi ricordate quando a mettere le bombe nei mercati e sui bus, a far saltare in aria appartamenti e hotel, a mitragliare centinaia di donne e bambini nei villaggi arabi in Palestina erano gli ebrei sionisti dell’Irgun e della banda Stern? Se la risposta è negativa al cinema da oggi c’è Shoshana di Michael Winterbottom. Un ripassino di storia degli anni ’30 nelle zone dell’odierna Israele, tra le pieghe di un thriller politico di quelli che si giravano negli anni ottanta. Con tanto di donna, alquanto ambigua, almeno per quell’ultima inquadratura di film, protagonista di un intreccio tra sanguinario terrorismo e appassionato amore.

Nella Tel Aviv di metà anni trenta governata dal protettorato inglese di Palestina, Shoshana (Irina Starshenbaum) è una giornalista, sionista socialista, membro della pur tollerata formazione politico militare illegale Haganah, figlia di cotanto padre che comunque migrando lì sognava uno spazio geografico diviso equamente tra arabi ed ebrei. Shoshana si innamora, ricambiata forse con ancor più trasporto, dal detective della polizia inglese Wilkin (Douglas Booth). Ma sono tempi duri per gli arabi, qui in versione pressoché beduina e oggettivamente ben lontani dal laico OLP e dall’islamico terrorismo attuale e recente, come per gli inglesi che tra le due guerre si trovarono, sia chiaro volontariamente, a gestire l’impeto estremista del terrorismo sionista.

In pratica i “cattivi maestri” che trucidavano casuali ali di folle arabe e che, quando cominciarono ad essere stanati e catturati, finirono per ammazzare palate di soldati, poliziotti e amministratori inglesi. Delle vere e proprie furie armate fino ai denti per ottenere la “patria ebraica” dai “confini biblici” (lo dice uno dei leader dell’Irgun nel film). Shoshana, la protagonista, e Wilkin, intanto continuano a vedersi, fare sesso, amarsi al di là dei ruoli delicati e pericolosi, messi in discussione dalle alte sfere britanniche. Fino a quando all’appello dei sionisti mancherà da spuntare tra i condannati a morte soltanto Wilkin.

Shoshana, il film, non lascia un minuto di respiro allo spettatore, mostra un dinamismo di azione e violenza rodato e realistico, lascia intravedere con chiarezza elementi della storia del Medio Oriente senza occultare o parteggiare in modo smaccato (gli inglesi in quanto a torture non ci andavano per il sottile). Il lavoro d’ambiente è oltretutto di rara fattura scenografico-urbanistica se si pensa che la Tel Aviv con case basse e automobili con predellino anni trenta è stata ricostruita tra le strade dei paesini della Puglia senza cadere nel kitsch, anzi.

Winterbottom è cineasta di polso e di carattere, rabdomante di emozioni intense, costruttore disinvolto di intrecci, ed ha vissuto subito il suo apice popolare negli anni novanta con Butterfly Kiss, Jude, Benvenuti a Sarajevo. Un certo sguardo politico sul mondo l’ha poi mantenuto sottotraccia, anche quando è caduto produttivamente un filino in disgrazia. In Shoshana lo rispolvera con merito, facendo probabilmente arrabbiare molti connazionali e rievocando le origini di un conflitto che è tornato a sanguinare dal 7 ottobre 2023 (il film è stato girato ampiamente prima) a parti ribaltate.